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24 febbraio 2014

I fulgidi anni '80




"Negli anni ottanta si rideva. Si rideva molto di più. Si rideva al lavoro, a scuola con gli amici e soprattutto si rideva in TV. Quegli anni erano un'epoca favolosa (così sembrava aggiungo io...). L'Italia vinceva i Campionati del mondo in Spagna, la musica la facevano i DJ e il suo ritmo dance pulsava dalle radio e dalle discoteche. Perfino il papa sciava in quegli anni. Ci si sentiva liberi, sarebbe caduto il muro di Berlino.
Il culto del corpo aveva generato un'esplosione di palestre, corsi di aerobica per donne, body bulding per uomini, centri di abbronzatura. Bisognava avere un fisico scolpito, color bronzo, da portare in giro in vestiti firmati e occhiali a specchio.
A qualsiasi ora del giorno potevi accendere la televisione e trovare qualcuno che era stesso messo lì per farti ridere, per distrarti un pò, per regalarti dei premi o anche solo per dirti una serie di frasi divertenti, tormentoni pronti all'uso. Era piena di gettoni d'oro, di coriandoli, di trombette, di gonnelline luccicanti e di giacche colorate. Era piena di sorrisi splendenti, piena di labbra e di bocche che soffiavano baci ai telespettatori. Era piena di prodotti in vendita. Negli anni '80 si aveva la sensazione che si potesse comprare tutto. Anche l'allegria. I poveri potevano sembrare ricchi. Prima degli anni Ottanta nelle case si sentivano frasi come:"non possiamo permettercelo" oppure "questa è una cosa fuori dalle nostre possibilità" Gli anni Ottanta sembrava avessero spazzato via tutto questo, insieme alla cultura del risparmio. Quello che guadagnavi spendevi, e costruirsi un futuro ma comprare un grosso biglietto della lotteria. Forse è stato in quegli anni che le parole hanno iniziato a perdere il loro vero significato, a diventare maschere senza dietro un volto......."

F. Volo

CONTROVENTO....

17 febbraio 2014

MONOLOGO


AMO SVILUPPARE LA MIA COSCIENZA
PER CAPIRE PERCHÉ SONO VIVO
COS'È IL MIO CORPO E COSA DEVO FARE
PER COOPERARE CON I DISEGNI DELL'UNIVERSO 
NON MI PIACE LA GENTE CHE ACCUMULA
INFORMAZIONI INUTILI
E SI CREA FALSE FORME DI CONDOTTA
PLAGIATA DA PERSONALITÀ IMPORTANTI 
MI PIACE RISPETTARE GLI ALTRI
NON PER VIA DELLE DEVIAZIONI NARCISISTICHE
DELLA LORO PERSONALITÀ
MA PER COME SI SONO EVOLUTE INTERIORMENTE 
NON MI PIACE LA GENTE LA CUI MENTE
NON SA RIPOSARE IN SILENZIO IL CUI CUORE
CRITICA GLI ALTRI SENZA SOSTA
LA CUI SESSUALITÀ
VIVE INSODDISFATTA
IL CUI CORPO S'INTOSSICA
SENZA SAPER APPREZZARE DI ESSERE VIVO
OGNI SECONDO DI VITA È UN REGALO SUBLIME 
MI PIACE INVECCHIARE
PERCHÉ IL TEMPO DISSOLVE
IL SUPERFLUO E CONSERVA L'ESSENZIALE

NON MI PIACE LA GENTE CHE
PER RETAGGI INFANTILI TRASFORMA LE BUGIE
IN SUPERSTIZIONI
NON MI PIACE CHE CI SIA UN PAPA
CHE PREDICA SENZA CONDIVIDERE
LA SUA ANIMA CON UNA "PAPESSA"
NON MI PIACE CHE LA RELIGIONE
SIA NELLE MANI
DI UOMINI CHE DISPREZZANO LE DONNE 
MI PIACE COLLABORARE E NON COMPETERE MI PIACE SCOPRIRE IN OGNI ESSERE
QUELLA GIOIA ETERNA CHE POTREMMO
CHIAMARE DIO INTERIORE 
NON MI PIACE L'ARTE CHE SERVE SOLO
A CELEBRARE IL SUO ESECUTORE
MI PIACE L'ARTE CHE SERVE PER GUARIRE NON MI PIACCIONO LE PERSONE
TROPPO STUPIDE 
MI PIACE TUTTO CIÒ CHE PROVOCA IL RISO MI PIACE AFFRONTARE VOLONTARIAMENTE
LA MIA SOFFERENZA CON L'OBIETTIVO di espandere la mia coscienza.


A. Jodorowsky

13 febbraio 2014

Il piacere degli Dei....

Sembrava che per uno strano fenomeno d'alchimia non solo il sangue di Tita ma tutto il suo essere si fosse sciolto nella salsa di rosa, nella carne delle quaglie e in ogni aroma del cibo e in questa maniera l'essere di Tita penetrava nel corpo di Pedro, voluttuoso, profumato, caldo e irresistibilmente sensuale. Sembrava che avessero scoperto un nuovo codice di comunicazione, nella quale Tita era l'emittente, Pedro il ricevente e Geltrude, la fortunata, nella quale si sintetizzava questa relazione sessuale per mezzo del cibo.
dal film "Come l'acqua per il cioccolato" di Alfonso Arau

10 febbraio 2014

Di te non mi dimenticherò...


Quel giorno non avevo fatto altro che starmene seduto sul letto a guardare il trasparente cielo invernale. Chissà perchè quella traparenza senza limiti mi sembrava un tradimento nei miei confronti, sempre così confuso...dubbioso..indeciso sul da farsi...E mentre me ne stavo così, ad un tratto mi apparvero, sovrapposte all'immagine del cielo, le ciglia di una donna che conosco....
Nel parlare lei ha l'abitudine di fermarsi ogni tanto per cercare una parola, e in quel momento di pausa, mentre dice "cioè"..."per esempio..", immancabilmente chiude per un attimo gli occhi corrugando appena le sopracciglia, e le ciglia che orlano le sue palpebre spiccano di colpo un volo sul suo viso. E quando fa così ho sempre la strana sensazione ...sarà questa sua personalità generosa ed impulsiva. Ed è in questi momenti che ho sempre paura. Mi sembra che il cuore mi si arresti. Deve essere forse perchè finora, ogni volta che ho avuto la sensazione di capire qualcuno, le cose non sono mai andate come dovevano. Ma questo non basta a spiegare la paura che provo quando lei chiude per qualche attimo gli occhi.
E mentre sto a guardarla in preda al panico, finalmente ( ma in realtà non sono passati che pochi secondi) lei riapre gli occhi. Sembra diventata un'altra, limpida e serena, e fa un'affermazione del tipo: "E' così bello capire!" Ed io penso..già facile per lei! In fondo è una donna così semplice per alcuni aspetti, ma lo penso senza nessun senso di superiorità. Anzi sono convinto che sia una bellissima dote di cui purtroppo io, con la mia tendenza a razionalizzare tutto, sono completamente privo.
Quella sera dovevamo incontrarci ma io non ne avevo tanta voglia, avevo una strana sensazione e non volevo affrontare nessun tipo di discorso. Provai a telefonare per disdire l'appuntamento ma non trovai nessuno. Non mi rimase altra scelta che andare. Per le vie buie non c'era quasi nessuno. Passai per diverse strade, ma erano un po' vuote e tristi sotto la luna. Il vento passava trascinando via i pensieri erranti, che addensandosi negli spazi tra un palazzo ed un altro, si trasformavano nel buio. Mi piace così, quando i confini tra le cose si confondono. La notte sfuma nel giorno, la salsa che si spande nel piatto, l'aroma del caffè che invade le narici. Deve essere l'influenza di tutto questo amore che sento..Lei assomiglia ad un sole d'estate, una luce calda che sembra fondersi con l'azzurro del cielo. In quel momento mi sentii chiamare, era la sua voce, ovattata sembrava arrivasse dall'alto da qualche parte tra le nuvole.
Entrai nella stanza. Lei sorrideva molto più del normale, e in quel silenzio il rumore dei suoi tacchi aveva una strana eco, mi faceva pensare ai passi di qualcuno che si allontana. Avevo un presentimento spiacevole.
Sai, mi disse :" Ho deciso vado ad un seminario, pare che ti purifichi completamente da tutte le cose che hai dentro la testa, non è una delle solite cose tipo sviluppo dei propri poteri, insomma ..è una cosa forte, una sorta di annullamento totale, dopo puoi ripartire da zero. Naturalmente, c'e' il rischio di perdere la memoria di diverse cose, ma vuol dire che non erano necessarie. Non pensi sia interessante?"
"Per niente. E poi vorrei sapere chi è che decide cosa è o non è necessario". "Lascia perdere non ci andare".
"No, ormai ho deciso e poi se non ci vado come faccio a sapere se una cosa è buona o no"
"Non è buono, come puo' essere buono dimenticarsi di tutto?"
"Ma che male c'è a dimenticare, specialmente le cose brutte?"
"Ma è una cosa che ognuno dovrebbe decidere da sè".
"Non ti devi preoccupare...Cioè..."
Chiuse gli occhi cercando le parole. Poi li riaprì e disse:" Sì di te non mi dimenticherò.
"E tu come fai a saperlo?"
"Lo so non c'è pericolo"
"Non mi stupirei se dimenticassi tutto di noi due"
"Dimenticare i nostri mille anni insieme?!". Sorrise.
Sarà per quel suo tono di voce allegro e profondo, ma quando dice cose, come queste, per un attimo le fa sembrare vere. Ma certo, stavamo insieme da mille anni!
Guardando il suo profilo..pensai...
Il mio amore è un po' diverso dal tuo. Per esempio tornando a quando chiudi gli occhi , in quel preciso momento l'universo si raccoglie dentro di te. Allora la tua figura si fa infinitamente piccola ed alle tue spalle si cominciano ad intravedere infiniti paesaggi che si espandono attorno a te a velocità incredibile: il mio passato, tutto ciò che c'è stato prima che io nascessi, tutto ciò che ho visto..." E' incredibile! Penso, preso da un'eccitazione incredibile, ma nel momento in cui riapri gli occhi tutte quelle immagini si spengono. Ed io penso:" Non potresti concentrarti di nuovo? Solo un momento?"
I nostri pensieri sono quindi completamente diversi, ma siamo una coppia molto antica. Una SPIRALE infinita dove uno si rispecchia nell'altro. Come il DNA, come questo grande universo. Proprio in quel momento, per una strana coincidenza, lei mi guardò sorridendo, e come risposta ai miei pensieri disse:
"Ah! E' stato davvero bellissimo, non me ne dimenticherò finchè vivo".

P. Coelho

08 febbraio 2014

L'assenza


Sarai distante o sarai vicino
sarai più vecchio o più ragazzino
starai contento o proverai dolore
starai più al freddo o starai più al sole
Conosco un posto dove puoi tornare
conosco un cuore dove attraccare
Se chiamo forte potrai sentire
se credi agli occhi potrai vedere
c’è un desiderio da attraversare
e un magro sogno da decifrare
Conosco un posto dove puoi tornare
conosco un cuore dove attraccare
Piovono petali di girasole
sulla ferocia dell’assenza
la solitudine non ha odore
ed il coraggio è un’antica danza
Tu segui i passi di questo aspettare
tu segui il senso del tuo cercare
C’è solo un posto dove puoi tornare
c’è solo un cuore dove puoi stare

F, Mannoia

03 febbraio 2014

ATTACCA!


I love radio rock

Cari ascoltatori, vi dico solo questo: che Dio vi benedica! Quanto a voi bastardi al potere, non sperate che sia finita! Anni che vanno, anni che vengono e i politici non faranno mai un cazzo per rendere il mondo un posto migliore! Ma ovunque nel mondo, ragazzi e ragazze avranno semre i loro sogni e tradurranno quei sogni in canzoni...
Non muore niente di importante questa notte! Solo 4 brutti ceffi su una nave di merda! L'unico dispiacere stanotte è che negli anni futuri ci saranno tante fantastiche canzoni, che non sarà nostro privilegio trasmettere ma, credete a me, saranno comunque scritte! E saranno comunque cantate! E saranno comunque la meraviglia del mondo!!


02 febbraio 2014

Ossimoro.....

Nella figura retorica chiamata ossimoro, si applica ad una parola un aggettivo che sembra contraddirla; cosi' gli gnostici parlavano di una luce oscura; gli alchimisti di un sole nero"

Jorge Luis Borges


esclusivamente per tutti
un vuoto da disperdere
un equilibrio instabile
ammanettato dalla liberta'
incoraggiare ad arrendersi
i confini del cielo
sono piena di vuoti
presto sarà tardi
grido silenzioso
amara dolcezza
ghiaccio bollente
guerra per la pace
bomba intelligente


“Mi hai lasciato avvolto nel vuoto di una morte romantica,
poi l'addio freddo nel fuoco gettò i nostri sogni e me vinto...in un vento spinto….”
                                     
                                                                     (Baldo Bruno)


01 febbraio 2014

La zia Daniela e il mal d'amore...


La zia Daniela s'innamorò come s'innamorano sempre le donne intelligenti: come un'idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: «Quest'uomo si crede Dio». Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Góngora e di suor Juana Inés de la Cruz come chi risponde ad una filastrocca durante la ricreazione. Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l'immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perchè c'era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue ricchezze.
Ma quell'uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un'intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d'artista. Il suo cervello lo guardò in tanti modi che in capo a dodici giorni credette di conoscere cento uomini.
Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, abbandonata con tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegare il suo amore.
Un giorno così com'era venuto, se ne andò senza neppure salutare. Non ci fu allora in tutta l'intelligenza della zia Daniela una sola scintilla in grado di spiegarle ciò che era successo.
Ipnotizzata da un dolore senza nome né destino, diventò la più stupide delle stupide. Perderlo fu un dolore lungo come l'insonnia, una vecchiaia di secoli, l'inferno.
Per pochi giorni di luce, per un indizio, per gli occhi d'acciaio e di supplica che le aveva prestato una notte, la zia Daniela sotterrò la voglia di vivere e cominciò a perdere lo splendore della pelle, la forza delle gambe, l'intensità della fronte e delle viscere.
Nel giro di tre mesi divenne quasi cieca, le crebbe una gobba sulla schiena e dovette succedere qualcosa anche al suo termostato interno, perché, nonostante indossasse anche in pieno sole calze e cappotto, batteva i denti dal freddo come se vivesse al centro stesso dell'inverno. La portavano fuori a prendere aria come un canarino. Le mettevano accanto frutta e biscotti da becchettare, ma sua madre si portava via il piatto intatto mentre Daniela rimaneva muta, nonostante gli sforzi che tutti facevano per distrarla.
All'inizio la invitavano in strada, per vedere se, guardando i colombi e osservando la gente che andava e veniva, qualcosa in lei cominciasse a dare segni di attaccamento alla vita. Provarono di tutto. Sua madre se la portò in Spagna e le fece girare tutti i locali sivigliani di flamenco senza ottenere da lei nulla più di una lacrima, una sera in cui il cantante era allegro. La mattina seguente inviò un telegramma a suo marito:«Comincia a migliorare, ha pianto un secondo». Era diventata come un arbusto secco, andava dove la portavano e appena poteva si lasciava cadere sul letto come se avesse lavorato ventiquattr'ore di seguito in una piantagione di cotone. Alla fine non ebbe più forze che per gettarsi su una sedia a dire a sua madre:«Ti prego, andiamocene a casa».
Quando tornarono, la zia Daniela camminava a stento, e da allora non volle più alzarsi dal letto. Non voleva neppure lavarsi, né pettinarsi, né fare pipì. Un mattino non riuscì neppure ad aprire gli occhi.
«E' morta!», sentì esclamare intorno a sé, e non trovò la forza di negarlo.
Qualcuno suggerì a sua madre che un tale comportamento fosse un ricatto, un modo di vendicarsi degli altri, una posa da bambina viziata che, se di colpo avesse perso la tranquillità di una casa sua e la pappa pronta, si sarebbe data da fare per guarire da un giorno all'altro. Sua madre fece lo sforzo di crederci e seguì il consiglio di abbandonarla sul portone della cattedrale. La lasciarono lì una notte con la speranza di vederla tornare, affamata e furiosa, com'era stata un tempo. La terza notte la raccolsero dal portone e la portarono in ospedale tra le lacrime di tutta la famiglia.
All'ospedale andò a farle visita la sua amica Elidé, una giovane dalla pelle luminosa che parlava senza posa e che sosteneva di saper curare il mal d'amore. Chiese che le permettessero di prendersi cura dell'anima e dello stomaco di quella naufraga. Era una creatura allegra e attiva. Ascoltarono il suo parere. Secondo lei, l'errore nella cura della sua intelligente amica consisteva nel consiglio di dimenticare. Dimenticare era una cosa impossibile. Quel che bisognava fare era imbrigliare i suoi ricordi perchè non la uccidessero, perchè la obbligassero a continuare a vivere.
I genitori ascoltarono la ragazza con la stessa indifferenza che ormai suscitava in loro qualsiasi tentativo di curare la figlia. Davano per scontato che non sarebbe servito a nulla, ma autorizzarono il tentativo come se non avessero ancora perso la speranza, che ormai avevano perso.
Le misero a dormire nella stessa stanza. Pasando davanti a quella porta, in qualsiasi momento, si udiva l'ifaticabile voce di Elidé parlare dell'argomento con la stessa ostinazione con la quale un medico veglia un moribondo. Non stava zitta un minuto. Non le dava tregua. Un giorno dopo l'altro, una settimana dopo l'altra.
«Come hai detto che erano le sue mani?», chiedeva.
Se la zia Daniela non rispondeva, Elidé l'attaccava su un altro fronte.
«Aveva gli occhi verdi? Castani? Grandi?».
«Piccoli», rispose la zia Daniela, aprendo bocca per la prima volta dopo un mese.
«Piccoli e torbidi?», domandò Elidé.
«Piccoli e fieri», rispose la zia Daniela, e ricadde nel suo mutismo per un altro mese.
«Era sicuramente del Leone. Sono così, i Leoni», diceva la sua amica tirando fuori un libro sui segni zodiacali. Le leggeva tutte le nefandezze che un Leone può commettere. «E poi sono bugiardi. Ma tu non devi lasciarti andare, sei un Toro: sono forti le donne del Toro».
«Di bugie sì che ne ha dette», le rispose Daniela una sera.
«Quali? Non te ne scordare! Perché il mondo non è tanto grande da non incontrarlo mai più, e allora gli ricorderai le sue parole: una per una, quelle che ti ha detto e quelle che ha fatto dire a te».
«Non voglio umiliarmi».
«Sarai tu a umiliare lui. Sarebbe troppo facile, seminare parole e poi filarsela».
«Le sue parole mi hanno illuminata!», lo difese la zia Daniela.
«Si vede, come ti hanno illuminata!», diceva la sua amica, arrivate a questo punto.
Dopo tre mesi ininterrotti di parole la fece mangiare come Dio comanda. Non si rese neppure conto di come fosse successo. L'aveva portata a fare una passeggiata in giardino. Teneva sottobraccio una cesta con frutta, pane, burro, formaggio e tè. Stese una tovaglia sull'erba, tirò fuori la roba e continuò a parlare mettendosi a mangiare senza offrirle nulla.
«Gli piaceva l'uva», disse l'ammalata.
«Capisco che ti manchi».
«Sì» disse la zia Daniela, portandosi alla bocca un grappolo d'uva. «Baciava divinamente. E aveva la pelle morbida, sulla schiena e sulla pancia».
«E com'era... sai di che cosa parlo», disse l'amica, come se avesse sempre saputo che cosa la torturava.
«Non te lo dico», rispose Daniela ridendo per la prima volta dopo mesi. Mangiò poi pane e burro, formaggio e tè.
«Bello?», chiese Elidé.
«Sì», rispose l'ammalata, ricominciando a essere se stessa.
Una sera scesero a cena. La sia Daniela indossava un vestito nuovo e aveva i capelli lucidi e puliti, finalmente liberi dalla treccia polverosa che non si era pettinata per tanto tempo.
Venti giorni più tardi, le due ragazze avevavo ripassato tutti i ricordi da cima a fondo, fino a renderli banali. Tutto ciò che la zia Daniela aveva cercato di dimenticare, sforzandosi di non pensarci, a furia di ripeterlo divenne per lei indegno di ricordo. Castigò il suo buon senso sentendosi raccontare una dopo l'altra le centoventimila sciocchezze che l'avevano resa felice e disgraziata.
«Ormai non desidero più neppure vendicarmi», disse un mattino a Elidé. «Sono stufa marcia di questa storia».
«Come? Non mi ridiventare intelligente, adesso», disse Elidé. «Questa è sempre stata una questione di ragione offuscata: non vorrai trasformarla in qualcosa dilucido? Non sprecarla, ci manca la parte migliore: dobbiamo ancora andare a cercare quell'uomo in Europa e in Africa, in Sudamerica e in India, dobbiamo trovarlo e fare un baccano tale da giustificare i nostri viaggi. Dobbiamo ancora visitare la Galleria Pitti, vedere Firenze, innamorarci a Venezia, gettare una moneta nella Fontana di Trevi. Non vogliamo inseguire quell'uomo che ti ha fatto innamorare come un'imbecille e poi se n'è andato?».
Avevamo progettato di girare il mondo in cerca del colpevole, e questa storia che la vendetta non fosse più imprescindibile nella cura della sua amica era stata un brutto colpo per Elidé. Dovevano perdersi per l'India e il Marocco, la Bolivia e il Congo, Vienna e soprattutto l'Italia. Non aveva mai pensato di trasformarla in un essere razionale dopo averla vista paralizzata e quasi pazza quattro mesi prima.
«Dobbiamo andare a cercarlo. Non mi diventare intelligente prima del tempo», le diceva.
«E' arrivato ieri», le rispose le rispose la zia Daniela un giorno.
«Come lo sai?»
«L'ho visto. Ha bussato al mio balcone come una volta».
«E che cosa hai provato?»
«Niente».
«E che cosa ti ha detto?»
«Tutto».
«E che cosa gli hai risposto?»
«Ho chiuso la finestra».
«E adesso?», domandò la terapista.
«Adesso sì ce ne andiamo in Italia: gli assenti si sbagliano sempre».

A. Mastretta