L' ultima intervista di Marilyn Monroe:
“ il successo è
come il caviale, se è troppo fa venire la nausea «Nei giorni difficili penso:
magari fossi una donna delle pulizie» «Cantai per Kennedy come se fosse stata
l' ultima cosa della mia vita»
Dal documentario televisivo «Marilyn: l' ultima
intervista» di Richard Maryman, riportiamo i brani più salienti. Il giornalista
che intervistò la star il 6 luglio del 1962 parla fuori campo, introducendo i
vari blocchi di risposte di Marilyn. Marilyn abitava a Brentwood, poco fuori
Los Angeles. Suonai il campanello: il cuore mi batteva forte per l' emozione,
perché non sapevo cosa aspettarmi. Quando la governante mi aprì restai di
stucco. Davanti a me c' era un salone praticamente vuoto, con due sedie e nient'
altro. Posai il registratore per terra e mi inginocchiai per metterlo in
funzione. All' improvviso, mi apparve un paio di pantaloni gialli. Una voce mi
disse: «Posso aiutarla?», così ho incontrato Marilyn Monroe. Era bellissima,
truccata e pettinata per l' occasione. Però era visibilmente turbata, e cambiò
umore molte volte. Era intensa, piena di rabbia e tristezza. Soprattutto quando
parlava di come il successo avesse cambiato la sua vita. «Il successo è
passeggero, ma almeno l' ho provato. Il successo è come il caviale. È bello
mangiare caviale, ma se lo fai tutti i santi giorni ti viene la nausea. E poi
il successo attira l' invidia. La gente dice: "Chi si crede di essere
Marilyn Monroe?" «La fama e la felicità sono solo momentanee, sprazzi di
benessere passeggeri per chi non ha avuto infanzia. Non mi considero un'
orfana, ma sono cresciuta come tale. Io sono cresciuta in modo decisamente
diverso dalla maggior parte dei bambini. I bambini sognano la felicità, per
loro è una cosa scontata. A me, invece, la felicità sembra qualcosa di
impossibile. Sognavo di recitare. La vita che facevo non mi piaceva. Il mondo
per me era tetro. Vivevo al di fuori di tutto, poi all' improvviso, una porta
si è spalancata. Mi sono chiesta: "Che succede?". Il mondo mi era amico,
mi apriva le braccia. A quei tempi non capivo ancora il valore dei soldi.
Cominciavo a comprendere l' importanza dell' aspetto ma qualcosa mi sfuggiva.
Non potevo permettermi neanche un bel golfino». (Si vedono i primi servizi
fotografici. Il più famoso è quello di Marilyn nuda, scattato da Tom Kelley nel
1949, che poi venne utilizzato da «Playboy»). «Il sesso è un dono naturale,
grazie al cielo! È davvero un peccato che cerchino di rovinare questo
sentimento così naturale. Tom Kelley è ancora in giro, si vede ancora in città.
Quando mi propose di posare nuda, pensai: "Se devo diventare un simbolo,
meglio essere un simbolo del sesso che di qualcos' altro. Oggi, però, un
simbolo sessuale è considerato un oggetto. È terribile essere un oggetto!». Aveva
quella risata squillante, inconfondibile. Ma durante l' intervista scoppiava a
ridere nei momenti sbagliati. Marilyn ringraziava i fans per il suo successo.
Sentiva che a Hollywood non la rispettavano, solo i suoi fans la capivano.
Grazie a loro era una diva. Fu l' unico argomento di cui parlò con gioia
durante l' intervista. «Se sono una star, è perché la gente lo ha voluto. È
stata la gente. Lo studio era sommerso dalle lettere dei fans. Io dicevo:
"Sono una star" e tutti mi guardavano come se fossi pazza. Non sapevo
che effetto facessi finché non andai in Corea (Marilyn andò a cantare per le
truppe americane in Corea del Sud nel febbraio 1954, ndr.) sino ad allora non
lo avevo capito, perché quelli dello studio mi dicevano sempre: "Guarda
che non sei una star!" A volte la gente vuole capire se sei vera. Ti
osservano e vedono in te un qualcosa del tutto estraneo alla loro vita
quotidiana. E questo è lo spettacolo, giusto? La gente mi piace. Il pubblico,
la ressa mi spaventano. La gente è qualcosa di cui ti puoi fidare». Marilyn
aveva sentimenti ambivalenti sulla sua immagine di sex symbol e sulla stampa
che la enfatizzava. La stampa l' aveva resa famosa, ma lei non si fidava.
Perciò aveva voluto sapere prima le domande dell' intervista. L' attenzione
della stampa le piaceva, ma non voleva essere perseguitata dai reporter ogni
volta che usciva. «Sembra che ci sia sempre qualcuno pronto ad assalirti. È
così, non sono paranoica. È come se volessero rubare una parte di te, farti a
brandelli. Penso che molti non se ne rendano nemmeno conto. A volte ti senti
come derubata di te stessa, mentre tu vuoi restare integra, ben salda sulle tue
gambe. Vogliono sapere tutto di te. A volte è quasi impossibile. Anche un
personaggio pubblico ha bisogno di solitudine, ma non tutti lo capiscono. È
importante avere dei segreti solo per sé, cose che non si vogliono rivelare al
mondo intero. Ci devono essere dei momenti di privacy... Mi piaceva tanto
ridere forte! Prendevo una bicicletta in prestito e volavo via. Cominciavo a
ridere al vento, correndo come un fulmine e ridendo, ridendo! Adoravo il vento.
Sembrava che mi accarezzasse». Marilyn ricevette solo due telefonate durante l'
intervista. Una volta, allo squillare del telefono, disse alla governante: «Se
è un italiano, io non ci sono». Credo si riferisse a Joe Di Maggio. Marilyn si
sposò tre volte e fu sempre un fallimento. Non volle nemmeno che nominassi il
suo primo matrimonio, a 16 anni, con Jim Dougherty (da cui divorzierà quattro
anni dopo; si vede la foto di nozze; poi, siamo al 14 gennaio 1954, Marilyn
sposa il campione di baseball Joe Di Maggio: il matrimonio dura solo nove mesi;
infine, il 29 giugno del ' 56, si sposa con il commediografo Arthur Miller, da
cui divorzierà nel gennaio del ' 61, ndr). «Non ero mai felice, non contavo
sulla felicità. Tranne che nel matrimonio. Quando ero piccola m' immaginavo per
gioco una casa tutta mia. Potevo fingere di essere quello che volevo, ogni
volta una cosa diversa. Era utile per imparare a stabilire i propri limiti...
Comunque, io non potevo solo fare la casalinga. Fantasticavo troppo. Quando
capitano quei giorni difficili, a volte penso: "Magari fossi una donna
delle pulizie". Negli studi, ce ne sono molte. A volte vorrei davvero
essere così. In fondo, però, mi accontento di quello che sono». Durante l'
intervista Marilyn cominciò a bere champagne («Vuole bere qualcosa? Avanti,
solo un goccio» mi diceva). Più beveva, più era inquieta e sulla difensiva. Mi
confessò tutto il dolore per come Hollywood l' aveva trattata in 15 anni di carriera.
Continuava a ripetermelo, come un disco incantato. Sentiva che non l' avevano
mai considerata una star. La sua rabbia esplose quando, innocentemente, le
chiesi cosa facesse per essere così in forma sul set. «Gira voce che beva
qualcosa prima di girare, è vero? Io non bevo niente, non bevo. Credo che sia
una grave mancanza di rispetto fare domande del genere. Non siamo macchine. Non
importa cosa vogliano farvi credere. Io voglio essere una vera artista, un'
attrice con una sua dignità. Quando invecchierò faro altri ruoli. Il mio
maestro Lee Strasberg (fondatore dell' Actors' Studio di New York, che Marilyn
cominciò a frequentare nel 1955, ndr) mi ha sempre detto: "Se non te la
senti, se sei nervosa, lascia perdere". Il nervosismo è indice di
sensibilità. Molti pensano che per fare un film basta andare sul set e il gioco
è fatto! Invece è molto faticoso. Io devo veramente lottare. Un mio collega ha
detto che baciare me è stato come baciare Hitler (la battuta è di Tony Curtis,
dopo le riprese di «A qualcuno piace caldo», in cui Marilyn portò tutti all'
esasperazione con i suoi ritardi e i suoi capricci, ndr). Addirittura! Bè, per
me quello era un suo problema! Sa che cosa, se io devo girare una scena d'
amore con un attore che la pensa così di me, allora uso tutta la mia fantasia.
In altre parole, lo cancello. Immagino qualcun altro al suo posto. Lui
sparisce, non c' è mai stato! «Il pubblico resterebbe deluso se sapesse come
questo mondo tratta le sue star. Come quando ho avuto la parte per Gli uomini
preferiscono le bionde. Jane Russell era la bruna, io la bionda. Lei ebbe
200.000 dollari per quella parte, io 500 a settimana. Mi sembrava abbastanza; però
non mi avevano dato un camerino. Io dissi che era un mio diritto, dopotutto io
ero la bionda e il film era Gli uomini preferiscono le bionde. Loro ripetevano
che io non ero una star, ma io sostenevo che ero la bionda del titolo ed avevo
dei diritti... «Ho dato un' impressione sbagliata di me, ma non sono nevrotica.
Credo che ogni mia debolezza sia stata amplificata. Molte persone hanno dei
problemi che vogliono mantenere privati. Io per esempio arrivo sempre in
ritardo... Molti pensano che i miei ritardi derivino dalla mia arroganza.
Invece è tutto il contrario. Io sono l' opposto. Questa casa di produzione (la
Fox, che l' aveva licenziata dal film «Something Got To Give», ndr) fa girare
su di me delle voci incredibili. Non ho mai creduto di dover andare sul set
solo per imparare a essere disciplinata. Se ho un raffreddore, come oso
ammalarmi? I dirigenti possono darsi malati, stare a casa quanto vogliono,
basta una telefonata. E invece tu, attrice, come osi stare male?». Marilyn
rifiutava qualunque responsabilità della sua lunga assenza dal set della Fox.
Sosteneva di essere stata male, ma lo studio non le aveva creduto. Come non
bastasse, si prese due giorni per andare a New York a cantare «Buon Compleanno»
al presidente Kennedy. Parlava di lui in modo non troppo convinto, come di uno
sconosciuto. (Si vedono le immagini della serata di gala al Madison Square Garden
di New York, con Peter Lawford sul palco che presenta Marilyn, ndr). «Fui
onorata dell' invito. Ci fu un silenzio improvviso in tutta la platea e io
pensai: "Se non portassi gli slip direi che sto mostrando qualcosa!"
(Lawford pronuncia la celebre e infelice battuta: «Here is the late Marilyn
Monroe», che voleva dire in ritardo o anche defunta, ndr). Ci fu di nuovo un
gran silenzio ed ebbi paura di non avere più voce. Poi mi sono detta: "Va
bene, canterò, fosse l' ultima cosa che faccio nella mia vita!"». Poi ha
incontrato Kennedy? «Dopo ci fu un ricevimento anche se non ho visto niente da
mangiare. Chissà, forse ero nel posto sbagliato! Però, ho incontrato il
Ministro della giustizia che già conoscevo (è Robert Kennedy, ndr). È stato
bello vedere un volto amichevole e sorridente». Tre settimane dopo, Marilyn
viene contestata e allontanata dal set di «Something' s Got to Give». Per la
Fox, la trasferta a New York era stata l' ultima goccia. Marilyn aveva fatto 21
giorni d' assenza su 33 di riprese. Alla fine dell' intervista Marilyn era
esausta. Aveva bevuto un' intera bottiglia di champagne senza toccare cibo. E
continuava a dipingersi come una vittima. «Il successo è un peso. E l'
industria cinematografica è come una madre il cui figlio viene investito da un'
auto, e lei, anziché abbracciarlo, lo picchia perché si è fatto investire.
Pensano di essere più potenti se ti calpestano e ti trattano male. Io l' ho
sperimentato. Ma non c' è solo quello. Il successo se ne andrà, e addio
successo! Però potrò dire d' averlo conosciuto e poi l' ho detto che è
passeggero. «Non so se si capirà dalla registrazione, io so cosa intendo. Va
benissimo. Lo spero davvero. Però, la prego, non mi faccia sembrare ridicola».
Quelle furono le ultime parole che mi disse. Mentre mi allontanavo mi voltai a
guardarla. Marilyn era lì, sulla porta. Mi salutò e gridò: «Ehi, grazie!».
Tornai a New York e scrissi il mio articolo, che apparve sulla rivista Life il
3 agosto. Il 5 agosto ricevetti una chiamata. Era un collega che mi diceva che
Marilyn era morta. Ne fui sconvolto. Marilyn era una donna che soffriva, senza
dubbio. Non avevo avuto alcun sentore che quella fosse la sua ultima
intervista, che fosse sull' orlo del suicidio. Negli ultimi 30 anni, ho
riascoltato questi nastri decine e decine di volte per capire se mi fosse
sfuggito qualcosa. Non ho mai trovato una risposta. Marilyn Monroe ha sofferto
a lungo per problemi psichici. Aveva cambiamenti d' umore improvvisi e
repentini. (Il filmato si conclude con le dichiarazioni del medico legale:
«Sulla base delle informazioni raccolte, riteniamo che si tratti di un
suicidio». Parte il cinegiornale sui funerali). www.corriere.it In video un
estratto dell' ultima intervista di Marilyn 40 ANNI FA Con il giornalista di
«Life» un incontro di otto ore «Fame», il successo. Di quello avrebbero parlato
il giornalista Richard Maryman di Life e Marilyn Monroe. Si incontrarono il 6
luglio 1962, a
casa di Marilyn, a Los Angeles. Parlarono per otto ore. Marilyn aveva dei
pantaloni gialli, era pettinata e truccata, beveva champagne. Maryman aveva un
registratore. Da quella lunghissima conversazione sarebbe uscita l' ultima
intervista di Marilyn. Apparve su Life il 3 agosto del 1962. Due giorni dopo,
la mattina del 5, l'
attrice veniva trovata morta. Suicidio con barbiturici fu la versione
ufficiale. Per i trent' anni dalla sua scomparsa, lo stesso Maryman curò uno
special televisivo, «Marilyn: The Last Interview». In cui si ascolta la voce di
Marilyn che parla al suo estremo intervistatore. Il filmato (25 minuti),
proiettato per la prima volta in Italia ieri sera al Teatro Greco di Taormina,
verrà trasmesso sul canale Studio Universal, il primo agosto, alle 20,30; dopo
passerà «A qualcuno piace caldo». Maryman ricorda che Marilyn era visibilmente
turbata, cambiava spesso umore, rideva nervosamente. Era arrabbiata con i
dirigenti della Fox che l' 8 giugno l' avevano licenziata dal film «Something
Got To Give». Motivo: le continue assenze dal set. Marilyn ribatte: ero
ammalata, se i dirigenti stanno male possono restare a casa, un' attrice no.
Però la malattia non le aveva impedito di volare a New York, il 19 maggio, per
cantare «Happy Birthday Mr President» alla festa di compleanno di John F.
Kennedy. Del Presidente, però, non dice niente. Ha invece buone parole per il
fratello Bob, ministro della giustizia. Dopo la sua morte si è saputo che,
chiusa la relazione con John, Marilyn s' incontrava con Bob: era innamorata e
forse aspettava un figlio. Ma anche Bob vuole chiudere. L' attrice, disperata,
si confida con alcuni amici, e la Casa Bianca e i servizi segreti cominciano ad
aver paura. Chi cerca in questa intervista elementi che avvalorino la tesi
dell' omicidio resterà deluso. Marilyn, qui, è solo una donna che riconsidera
la sua vita («successo e felicità sono solo momentanei sprazzi di benessere per
chi non ha avuto un' infanzia»), sa che il successo può finire, odia i
produttori che l' hanno sempre calpestata. L' industria del cinema con lei è
stata una mamma crudele, una mamma che invece di abbracciare il figlio dopo un
incidente lo picchia. Ama solo la gente, perché è la gente che l' ha fatta
diventare una star. Chiede comprensione per le sue debolezze, se è sempre in
ritardo non è per arroganza, anche lei ha i suoi momenti difficili ma non è
nevrotica. Forse, dice, «ho dato un' immagine sbagliata di me». Momenti felici
ne ha avuti pochissimi: «mi piaceva ridere, andare in bicicletta nel vento e
ridere a più non posso». E' disarmante quando dice che vorrebbe essere una
donna delle pulizie, «ma in fondo mi accontento di quello che sono». Cerca
rispetto, comprensione. Alla fine dell' intervista chiede: «la prego, non mi
faccia sembrare ridicola». Ranieri Polese Il personaggio LA FAMIGLIA Norma Jean
Mortensen (battezzata Norma Jean Baker) nacque il 1° giugno 1926 a Los Angeles. La madre
soffriva di disturbi psichici, del padre non conobbe nemmeno l' identità.
Costretta a passare da una famiglia adottiva all' altra, nel 1935, a 9 anni, entrò in
orfanotrofio LA SCOMPARSA Nel 1946 firmò un contratto con la 20th Century Fox:
da allora iniziò ad usare il nome di Marilyn Monroe. Tre matrimoni (tra cui il
mito del baseball Joe DiMaggio e il commediografo Arthur Miller) e altrettante
separazioni. Nella notte tra il 4 e il 5 agosto 1962, Marilyn fu trovata morta
ALBUM 1953 GLI UOMINI PREFERISCONO LE BIONDE Marilyn e Jane Russell, le due
amiche ballerine del film di Howard Hawks, lasciano le impronte delle mani a
Hollywood 1954 LA MAGNIFICA PREDA Alla Monroe non piacque: «Un film di cow-boy
di serie Z» (foto da «Marilyn Monroe - Immagini di un mito», Rizzoli) 1956 LE
NOZZE CON MILLER Marilyn e il commediografo Arthur Miller si sposarono il 29
giugno 1956. Per lei erano le terze nozze. Divorziarono nel 1961 1962 IL
COMPLEANNO DI JFK Marilyn con Peter Lawford, al compleanno di John Kennedy
(foto da «Marilyn Monroe - Immagini di un mito», Rizzoli) 1962 LICENZIATA DAL
SET L' ultimo film di Marilyn, «Something' s got to give», non fu terminato: l'
attrice fu licenziata. Ne restano alcuni spezzoni
Polese Ranieri, Maryman Richard
DAL CORRIERE DELLA SERA 13 LUGLIO 2002
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