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09 maggio 2013

Avevo 13 anni nel 1978



 
Nel 1978 avevo 13 anni ma ricordo benissimo quel periodo, è difficile spiegarlo a chi non lo ha vissuto,  i famosi anni di piombo, un periodo di guerra, di follia, di una generazione che voleva cambiare il mondo e chiunque la pensasse diversamente era considerato un nemico da abbattere. Slogan feroci ed eccidi terribili, cortei e fumogeni. Anni dominati dall’ansia anche per chi come me era solo una ragazzina. Avevo paura delle bombe, dei cestini dei rifiuti, perché lì e ne ero convinta, poteva nascondersi un ordigno che mi avrebbe fatto a pezzi. Una paura che stranamente mi è rimasta, ed ancor oggi cammino lontano dai cestini della spazzatura. Mio padre teneva nel baule della macchina una mazza da baseball di legno, aveva paura anche lui. La morte sempre presente, le immagini in bianco e nero dei telegiornali. Il furore, la rabbia, le P38, le pallottole tirate a caso. Per chi non c’era non dimenticale queste storie e i nomi di quelli uccisi……ci furono dal 1969 al 1989 più di 5000 attentati, con 455 caduti e 4529 feriti.  Anni di lotte di classe iniziate in fabbrica, poi nelle Università, nelle scuole anche le medie e in ogni posto di lavoro. Ricordo la foto di quel ragazzo che piega le ginocchia ed impugna la pistola, per sparare ad altezza uomo, quell’immagine è impressa nei miei occhi e nella mia anima , il suo colpo è deflagrato anche dentro di me....


La Repubblica non si baratta
Editoriale, Corriere della Sera 21 aprile 1978
La repubblica vive ormai con il fiato sospeso le ore che i brigatisti lasciano con il loro ultimatum: e non è soltanto la speranza, ma il desiderio forte di tutti gli italiani che uno dei cittadini migliori, oggi in grave pericolo di morte, torni libero ai suoi affetti e al suo compito di statista. Abbiamo sempre sostenuto che il modo migliore per combattere il disordine e sconfiggere la civile convivenza sia quello di fare ciascuno, con l'impegno più adeguato, il proprio mestiere, il proprio dovere, senza lasciarsi prendere alla gola né dalla paura né da esagitate passioni. Il nostro dovere di giornalisti è quello di informare, con calma, con democratica partecipazione, certamente senza paura ma anche senza presunzione. Con il senso delle proporzioni, che si fa più acuto in un momento tanto grave, è nostro dovere degli uomini dell'informazione lasciare, senza intromissioni retoriche e senza consigli da falchi o da colombe, ai politici, ai rappresentanti liberamente eletti dal popolo, il giudizio su una scelta difficilissima che deve conciliare almeno quattro inderogabili esigenze: 1) cercare con tutti i mezzi che uno stato di diritto consente, di salvare la vita carissima di Aldo Moro; 2) rispettare la legge della repubblica, che non può essere barattata; 3) avere presenti i sentimenti di un'opinione pubblica da una parte tesa con tutto il cuore alla liberazione di Moro, dall'altra frastornata dalle prove di incredibile ferocia che ancora ieri i brigatisti hanno spietatamente fornito e dalle prove di inadeguatezza che gli apparati dello Stato danno di fronte al compito di catturare i colpevoli; 4) valutare eventuali strumenti tecnici per schiudere le porte di questa assurda "prigione del popolo", senza elevare alla impossibile dignità di contro Stato i carcerieri del terrore. Con la convinzione, comunque, che non c'è baratto possibile, che violando la legge dello Stato di diritto non si deve liberare neppure un ladruncolo, e quindi non certo gli assassini che hanno ucciso ancora ieri a Milano un difensore dello Stato. L'ultimo volantino delle Brigate rosse contiene frasi quanto mai insultanti e minacciose. Ma anche espressioni così truculente e aggressive che servono soltanto da copertura a una proposta concreta. Infatti i brigatisti affermano: "Il rilascio del prigioniero Aldo Moro può essere preso in considerazione solo in relazione alla liberazione di prigionieri comunisti". Per la prima volta le Brigate rosse avanzano direttamente quelle proposte di scambio che fino a ieri erano contenute soltanto nelle lettere fatte scrivere ad Aldo Moro. Fino a ieri i brigatisti si erano dichiarati del tutto estranei alle "iniziative personali" del loro prigioniero. La novità è importante, ma non va sopravvalutata. Il giudizio di costituzionalisti e di politici è concorde nell'osservazione che inviando il loro ultimatum alla Democrazia Cristiana le Brigate Rosse hanno sbagliato indirizzo. La Dc, infatti, è soltanto un partito politico, e come tale non ha alcuna possibilità di scarcerare i detenuti. L'eventuale liberazione di qualche brigatista spetterebbe soltanto alla magistratura. E neanche i giudici, oggi, sarebbero in grado di porre in libertà provvisoria Curcio e i suoi compagni, anche se fossero intenzionati a farlo. La legge non glielo consente. Su due punti gli osservatori politici trovano difficile vedere come sia possibile discutere: sono da escludere sia il baratto dei prigionieri sia l'organizzazione di incontri confidenziali e riservati tra brigatisti e rappresentanti ufficiali dello Stato italiano. Però nulla vieta verificare se le proposte avanzate dalle Brigate Rosse sono veramente la loro ultima parola, e di esplorare se non esista qualche possibilità concreta di restituire Aldo Moro alla sua famiglia. Un tentativo e un sondaggio del genere possono essere forse effettuati da Amnesty International. Questa organizzazione infatti gode del massimo credito e prestigio nel governo italiano e ha sempre tutelato i diritti civili dei detenuti politici. Tutti sono d'accordo che ogni possibilità di salvare una vita umana va dunque esplorata fino in fondo. Non si può cedere al ricatto, questo era e resta ovvio per tutti. Ma c'è anche chi sostiene che non è giusto, quando per la prima volta squilla il telefono, abbassare di colpo il ricevitore. Anche se dall'altra parte del telefono c'è un criminale in attesa. Nel loro comunicato i brigatisti scrivono che il problema al quale si deve rispondere "è politico e non di umanità". E' vero il contrario: il problema da affrontare può essere umanitario, con loro non potrà mai essere politico. Ecco perché lo Stato non ha alcun colloquio da aprire con i terroristi. Potrà farlo, semmai, con senso umanitario, Amnesty.

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