Nel
1978 avevo 13 anni ma ricordo benissimo quel periodo, è difficile spiegarlo a
chi non lo ha vissuto, i famosi anni di
piombo, un periodo di guerra, di follia, di una generazione che voleva cambiare
il mondo e chiunque la pensasse diversamente era considerato un nemico da
abbattere. Slogan feroci ed eccidi terribili, cortei e fumogeni. Anni dominati
dall’ansia anche per chi come me era solo una ragazzina. Avevo paura delle
bombe, dei cestini dei rifiuti, perché lì e ne ero convinta, poteva nascondersi
un ordigno che mi avrebbe fatto a pezzi. Una paura che stranamente mi è
rimasta, ed ancor oggi cammino lontano dai cestini della spazzatura. Mio padre
teneva nel baule della macchina una mazza da baseball di legno, aveva paura
anche lui. La morte sempre presente, le immagini in bianco e nero dei
telegiornali. Il furore, la rabbia, le P38, le pallottole tirate a caso. Per
chi non c’era non dimenticale queste storie e i nomi di quelli uccisi……ci
furono dal 1969 al 1989 più di 5000 attentati, con 455 caduti e 4529 feriti. Anni di lotte di classe iniziate in fabbrica,
poi nelle Università, nelle scuole anche le medie e in ogni posto di lavoro.
Ricordo la foto di quel ragazzo che piega le ginocchia ed impugna la pistola,
per sparare ad altezza uomo, quell’immagine è impressa nei miei occhi e nella
mia anima , il suo colpo è deflagrato anche dentro di me....
La Repubblica non si baratta
Editoriale,
Corriere della Sera 21 aprile 1978
La repubblica vive
ormai con il fiato sospeso le ore che i brigatisti lasciano con il loro
ultimatum: e non è soltanto la speranza, ma il desiderio forte di tutti gli
italiani che uno dei cittadini migliori, oggi in grave pericolo di morte, torni
libero ai suoi affetti e al suo compito di statista. Abbiamo sempre sostenuto
che il modo migliore per combattere il disordine e sconfiggere la civile
convivenza sia quello di fare ciascuno, con l'impegno più adeguato, il proprio
mestiere, il proprio dovere, senza lasciarsi prendere alla gola né dalla paura
né da esagitate passioni. Il nostro dovere di giornalisti è quello di
informare, con calma, con democratica partecipazione, certamente senza paura ma
anche senza presunzione. Con il senso delle proporzioni, che si fa più acuto in
un momento tanto grave, è nostro dovere degli uomini dell'informazione
lasciare, senza intromissioni retoriche e senza consigli da falchi o da
colombe, ai politici, ai rappresentanti liberamente eletti dal popolo, il
giudizio su una scelta difficilissima che deve conciliare almeno quattro
inderogabili esigenze: 1) cercare con tutti i mezzi che uno stato di diritto
consente, di salvare la vita carissima di Aldo Moro; 2) rispettare la legge
della repubblica, che non può essere barattata; 3) avere presenti i sentimenti
di un'opinione pubblica da una parte tesa con tutto il cuore alla liberazione
di Moro, dall'altra frastornata dalle prove di incredibile ferocia che ancora
ieri i brigatisti hanno spietatamente fornito e dalle prove di inadeguatezza
che gli apparati dello Stato danno di fronte al compito di catturare i colpevoli;
4) valutare eventuali strumenti tecnici per schiudere le porte di questa
assurda "prigione del popolo", senza elevare alla impossibile dignità
di contro Stato i carcerieri del terrore. Con la convinzione, comunque, che non
c'è baratto possibile, che violando la legge dello Stato di diritto non si deve
liberare neppure un ladruncolo, e quindi non certo gli assassini che hanno
ucciso ancora ieri a Milano un difensore dello Stato. L'ultimo volantino delle
Brigate rosse contiene frasi quanto mai insultanti e minacciose. Ma anche
espressioni così truculente e aggressive che servono soltanto da copertura a
una proposta concreta. Infatti i brigatisti affermano: "Il rilascio del
prigioniero Aldo Moro può essere preso in considerazione solo in relazione alla
liberazione di prigionieri comunisti". Per la prima volta le Brigate rosse
avanzano direttamente quelle proposte di scambio che fino a ieri erano
contenute soltanto nelle lettere fatte scrivere ad Aldo Moro. Fino a ieri i
brigatisti si erano dichiarati del tutto estranei alle "iniziative
personali" del loro prigioniero. La novità è importante, ma non va
sopravvalutata. Il giudizio di costituzionalisti e di politici è concorde
nell'osservazione che inviando il loro ultimatum alla Democrazia Cristiana le
Brigate Rosse hanno sbagliato indirizzo. La Dc, infatti, è soltanto un partito
politico, e come tale non ha alcuna possibilità di scarcerare i detenuti.
L'eventuale liberazione di qualche brigatista spetterebbe soltanto alla
magistratura. E neanche i giudici, oggi, sarebbero in grado di porre in libertà
provvisoria Curcio e i suoi compagni, anche se fossero intenzionati a farlo. La
legge non glielo consente. Su due punti gli osservatori politici trovano
difficile vedere come sia possibile discutere: sono da escludere sia il baratto
dei prigionieri sia l'organizzazione di incontri confidenziali e riservati tra
brigatisti e rappresentanti ufficiali dello Stato italiano. Però nulla vieta
verificare se le proposte avanzate dalle Brigate Rosse sono veramente la loro
ultima parola, e di esplorare se non esista qualche possibilità concreta di
restituire Aldo Moro alla sua famiglia. Un tentativo e un sondaggio del genere
possono essere forse effettuati da Amnesty International. Questa organizzazione
infatti gode del massimo credito e prestigio nel governo italiano e ha sempre
tutelato i diritti civili dei detenuti politici. Tutti sono d'accordo che ogni
possibilità di salvare una vita umana va dunque esplorata fino in fondo. Non si
può cedere al ricatto, questo era e resta ovvio per tutti. Ma c'è anche chi
sostiene che non è giusto, quando per la prima volta squilla il telefono,
abbassare di colpo il ricevitore. Anche se dall'altra parte del telefono c'è un
criminale in attesa. Nel loro comunicato i brigatisti scrivono che il problema
al quale si deve rispondere "è politico e non di umanità". E' vero il
contrario: il problema da affrontare può essere umanitario, con loro non potrà
mai essere politico. Ecco perché lo Stato non ha alcun colloquio da aprire con
i terroristi. Potrà farlo, semmai, con senso umanitario, Amnesty.
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