E’ in questo silenzio dei circuiti che ti sto parlando. So bene che,
quando finalmente le nostre voci riusciranno ad incontrarsi sul filo, ci
diremo delle frasi generiche e monche; non è per dirti qualcosa che ti
sto chiamando, nè perchè creda che tu abbia
da dirmi qualcosa. Ci telefoniamo perchè solo nel chiamarci a lunga
distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti,
relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in
questo scandagliare il silenzio e attendere il
ritorno di un’ eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il
grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s’è
aperta sotto i piedi d’una coppia di esseri umani e gli abissi
dell’oceano si sono spalancati a separarli mentre l’uno
su una riva e l’altra sull’altra trascinati precipitosamente lontano
cercavano col loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li
tenesse insieme e che si faceva sempre più flebile finchè il rombo delle
onde non lo travolgeva senza speranza. Da allora
la distanza è l’ordito che regge la trama d’ogni storia d’amore come
d’ogni rapporto tra viventi, la distanza che gli uccelli cercano di
colmare lanciando nell’aria del mattino le arcate sottili dei loro
gorgheggi, così come noi lanciando nelle nervature della
terra sventagliate d’impulsi elettrici traducibili in comandi per i
sistemi a relais: solo modo che resta agli esseri umani di sapere che si
stanno chiamando per il bisogno di chiamarsi e basta.
Italo Calvino, “Prima che tu dica “Pronto””
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