-
Lei ha ucciso suo marito per far passare il
singhiozzo al suo bambino?
Lei
fece una risata fuori luogo:
-
Ma no, insomma è ridicolo!
-
Perché ha ucciso suo marito?
-
Per proteggere il bambino – affermò lei, questa
volta con una serietà tragica.
-
Ah. Suo marito l’aveva minacciato?
-
Doveva dirlo subito.
-
Sì
-
E di che cosa la minacciava?
-
Voleva chiamarlo Tanguy se è maschio e Joelle se
femmina.
-
E poi?
-
Poi niente.
-
Lei ha ucciso suo marito perché non le piacevano
i nomi che aveva scelto?
Lei
aggrottò le sopracciglia. Si rendeva perfettamente conto che mancava qualcosa
alla sua argomentazione, eppure era sicura di avere ragione. Capiva benissimo i
motivi del suo gesto e le sembrava quindi ancor più frustrante non riuscire a
spiegarli.
Allora
decise di tacere.
-
E’ sicura di non volere un avvocato?
Ne
era sicura. Come poteva spiegare questa storia ad un avvocato? L’avrebbe presa
per pazza, come tutti gli altri. Più parlava, più la prendevano per pazza. Quindi,
si sarebbe cucita la bocca.
La
misero in prigione. Ogni giorno un’infermiera passava a darle un’occhiata.
Quando
le annunciavano una visita di sua madre o di sua sorella, rifiutava di vederle.
Rispondeva
solo alle domande relative alla gravidanza. Altrimenti taceva.
Parlava
fra sé e sé:”Ho fatto bene a uccidere Fabien. Non era cattivo, era mediocre. La
sua pistola era l’unica cosa di lui che non lo fosse, ma certo ne avrebbe fatto
un uso mediocre, contro i ladruncoli del vicinato. Oppure avrebbe lasciato che
il bambino ci giocasse. Ho fatto bene a rivolgergliela contro. Voler chiamare un
figlio Tanguy o Joelle vuol dire offrigli un mondo mediocre, un orizzonte già ristretto.
Io invece voglio che il mio bambino abbia a disposizione l’infinito. Voglio che
mio figlio non senta alcun limite, voglio che il suo nome gli suggerisca un destino fuori dal
comune.”
Amelie
Nothomb (Dizionario dei nomi propri)
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