Hella passeggiava lentamente, percorrendo il viale alberato che
l’avrebbe condotta da lui. Aveva smesso di piovere da poco, e il terreno ancora
umido di pioggia rilasciava un profumo di terra e di gerani appena sbocciati.
La primavera tardava ad arrivare a Parigi, come sempre del resto. Ad Hella mancava
la sua terra, intensa e forte come il suo sole e di questi tempi il sentore dei
primi mandarini e bergamotti, avrebbe invaso l’aria di allegria e leggerezza.
Hella chiuse gli occhi e si smarrì per un istante, inspirò profondamente e
divenne ogni cosa , acqua e terra, sole e luna, muschio ed ambra e conobbe uno
scorrere del tempo diverso da quello degli uomini. Il tempo dell’oblio e del
ricordo, passato e presente finalmente uniti, uno spazio che conserva e
restituisce memoria. Un momento di grazia cristallina, donna, uomo, madre e
figlia ed Hella mise il piede su un terreno a lei familiare, quello della
nostalgia. Continuando a camminare, alzò la testa, come quando era piccola,
quando guardava il cielo dalla terrazza di casa sua, di giorno animata da
lenzuola bianche di bucato, profumate di pulito, danzanti e leggere come
ballerine e di notte, la stessa terrazza, completamente vuota, diventava
ritrovo ideale per i pensieri e, complice il buio, immaginava amori e una nuova
vita. Unica presenza il gatto Edmond, chissà si chiedeva Hella, se Edmond ha i
suoi stessi pensieri; era arrivato per caso, un giorno di maggio, quando i
cespugli di cisto, per il calore del sole, essudano la loro resinosa essenza, nessuno
lo aveva cercato, con gli occhi così grandi da essere sproporzionati, sul quel
terrazzo si era fermato e mai più allontanato. Finalmente Hella arrivò nella
casa che tanto aveva desiderato, salì di corsa le scale, affannata, come ogni
volta che dovevano incontrarsi. Entrò cercandolo con lo sguardo, con tutti i
sensi all’erta, come il gatto Edmond quando puntava la preda, una farfalla, un
piccolo insetto, tesa ed ansante, non lo trovò, si buttò nel letto ed affondò
il viso nel cuscino, inspirò profondamente. Era lì annidato tra le fibre del
cotone, il suo odore, al di fuori di quell’odore di spezie e di vita, null’altro
poteva esistere. Sapeva che sarebbe tornato e l’attesa di quell’uomo la faceva
sentire così piccola ed impotente che solo odorando ogni sua cosa, poteva
portare via la paura di perderlo. Affondò nuovamente la faccia nel cuscino,
erano passate due settimane dall’ultima volta che si erano visti, l’odore era
quasi svanito, la luce rimbalzava sulle pareti della stanza, alla fine quando
il suo corpo ormai freddo ed abbandonato giaceva sul letto, lui entrò, l’aria
in casa cambiò diventò liquida, vitale, e finalmente si sorrisero….
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