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30 aprile 2013

Vorrei essere libero, libero come un uomo.....

La libertà

Giorgio Gaber
(1972)

Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Vorrei essere libero come un uomo.


Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura,
sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,
incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà.


La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.


Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia,
che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà.


La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche avere un’opinione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.


Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza,
con addosso l’entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà.


La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche un gesto o un’invenzione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.


29 aprile 2013

Mentre fuori piove....

E' molto buio quando fuori piove
il giorno è quasi senza luce ed ora sta per diluviare
il bene, il male, l'odio, il sale della vita
respiro senza più mangiare, mi muovo lento senza respirare
la strada è ricoperta dalla neve, una spessa coltre immobile
nella nebbia
penso a te nel sole sulla sabbia, non mi frega niente di essere al tuo posto anzi mi danneggia
mi dan fastidio i ragionamenti lenti, spenti
il suono dei djambè , i lamenti
di individui carburati a mito statico con un neurone unico
in cerca di un compagno nel cervello,
sempre quello, il cervello,
avercelo il cervello.

Quando il tempo scava i miei bisogni
graffia dentro dritto al centro non c'è aria in questa stanza
mentre fuori piove
Quando il tempo gioca e azzera i sogni
scorre lento dritto al centro senza mai tornare indietro
mentre fuori piove .............

Sono solo io, io da solo, da quando sono nato,
l'unico mio padre mi ha capito, mi ha cresciuto,
se ne è andato, ho pianto.
Manca il fiato
E' molto buio quando fuori piove
il giorno è quasi senza luce ed ora sta per diluviare
muro contro muro al soffitto ancora muro, a pavimento
cattura un unico rimbalzo, manca il fiato
una pallina nera si riscalda al movimento fluido
manca il fiato
corro senza meta, inciampo, cado, mi rialzo, corro ancora
manca il fiato
sempre più veloce, più veloce, sempre più veloce
come dice Guaz sto portando la mia croce
manca il fiato
sempre più veloce ............
 
Africa Unite

28 aprile 2013

Nella terra degli aquiloni...

 La tristezza è una cosa seria
va d'accordo col cuore
nella terra degli aquiloni
ha parecchio da fare
come se la tristezza stessa
si doppiasse da sola
rotolasse come una mela
lungo il lato che muore

Qualche volta le sensazioni
sono ad un passo dal dire
e raccontano del maltempo
figlio del malumore
faccio un patto con la mia vita
nel cambiarmi la storia
affinchè le mie debolezze scappino via dal cuore

Mango

25 aprile 2013

23 aprile 2013

Revolution...


  
And now we got a revolution
Cause i see the face of things to come
Yeah................



Bisogna pulire il cervello!!! Revolution............

22 aprile 2013

Rosso Colore


Caro amico, la mia lettera ti giunge da lontano,
dal paese dove sono a lavorare,
dove son stato cacciato da un governo spaventoso
che non mi forniva i mezzi per campare;
ho passato la frontiera con un peso in fondo al cuore
e una voglia prepotente di tornare,
di tornare nel paese dove son venuto al mondo,
dove lascio tante cose da cambiare.
E mi son venute in mente le avventure del passato,
tante donne, tanti uomini e bambini,
e le lotte che ho vissuto per il posto di lavoro,
i sorrisi degli amici e dei vicini ;
e mi sono ricordato quando giovani e felici
andavamo lungo il fiume per nuotare,
e Marino il pensionato ci parlava con pazienza,
aiutandoci e insegnandoci a pescare.
Caro amico, ti ricordi quando andavo a lavorare,
e pensavo di potermi già sposare,
e Marisa risparmiava per comprarsi il suo corredo,
e mia madre l'aiutava a preparare;
ed invece di sposarci tra gli amici ed i parenti,
l'ho sposata l'anno dopo per procura,
perché chiusero la fabbrica e ci tolsero il lavoro
e ci resero la vita molto dura.
Noi ci unimmo e poi scendemmo per le strade per lottare,
per respingere l'attacco del padrone;
arrivati da lontano, poliziotti e celerini
caricarono le donne col bastone;
respingemmo i loro attacchi con la forza popolare,
ma, convinti da corrotti delegati,
ci facemmo intrappolare da discorsi vuoti e falsi,
e da quelli che eran stati comperati.

E mi viene da pensare che la lotta col padrone
è una lotta tra l'amore e l'egoismo,
è una lotta con il ricco, che non ama che i suoi soldi,
ed il popolo che vuole l'altruismo;
e non contan le parole che si possono inventare,
se ti guardi intorno scopri il loro giuoco:
con la bocca ti raccontano che vogliono il tuo bene,
con le mani ti regalan ferro e fuoco.
Caro amico, per favore, tu salutami gli amici,
ed il popolo, che è tutta la mia gente;
sono loro il vero cuore, che mi preme ricordare,
che rimpiango e che mi ha amato veramente;
verrà un giorno nel futuro che potremo ritornare,
e staremo finalmente al nostro posto,
finiremo di patire, non dovremo più emigrare
perché un tale ce lo impone ad ogni costo.
E salutami tua madre, dai un abbraccio a tua sorella,
chissà come sarà grande e signorina;
e lo so, sarà bellissima come son le nostre donne,
sanno vivere con forza che trascina;
ma - le hai mai guardate bene? - ti sorridono col cuore,
negli sgardi non nascondono timore,
dove sono però uniche è sul posto di lavoro,
son con gli uomini e si battono con loro.
Ho pensato tante volte che c'è un senso a tutto questo,
quest'amore non ci cade giù dal cielo;
ma parlando della vita, e pensando al mio paese,
mi è sembrato come fosse tolto un velo,
e mi pare di sapere, e finalmente di capire,
nella vita ogni cosa ha un suo colore,
e l'azzurro sta nel cielo, ed il verde sta nei prati,
ed il rosso è il colore dell'amore......

Pierangelo Bertoli

21 aprile 2013

Il terzo giorno di pioggia......




ll terzo giorno di pioggia avevano ammazzato tanti granchi dentro casa, che Pelayo dovette attraversare il suo cortile allagato per buttarli nel mare, perché il bambino aveva passato la notte con le caldane e si pensava che fosse a causa del fetore. Il mondo era triste fin dal martedì. Il cielo e il mare erano una stessa cosa di cenere, e le sabbie della spiaggia, che in marzo sfolgoravano come polvere di mica, si erano trasformate in una broda di fango e di molluschi putrefatti. La luce era così moscia a mezzogiorno che, mentre Pelayo stava tornando a casa dopo aver buttato via i granchi, gli costò fatica vedere ciò che si moveva e si lamentava in fondo al cortile. Dovette avvicinarsi molto prima di scoprire che era un uomo molto vecchio, che era rovesciato bocconi nella fangaia, e nonostante i suoi sforzi non poteva sollevarsi, perché glielo impedivano le sue enormi ali. Spaventato da quell’incubo, Pelayo corse in cerca di Elisenda, sua moglie, che stava facendo impacchi al bambino malato, e la conduss efino in fondo al cortile. Ambedue osservarono il corpo caduto, con un tacito stupore. Era vestito come uno straccione. Gli restava appena qualche filaccia sbiadita sul cranio pelato e ben pochi denti nella bocca, e le sue deplorevoli condizioni di bisnonno infradiciato lo avevano privato di ogni grandezza. Le sue ali di corbaccio grande,sporche e mezzo spennate, erano incagliate per sempre nella fangaia. Tanto lo osservarono, e con tanta attenzione, che Pelayo ed Elisenda si rimisero assai presto dallo stupore e finirono per trovarlo familiare. Allora si arrischiarono a parlargli, e lui rispose in un dialetto incomprensibile ma con una buona voce da navigante. Fu così che passarono sopra l’inconveniente delle ali, e conclusero con molto buon senso che era un naufrago solitario di qualche nave straniera rovesciata dal temporale. Tuttavia, chiamarono per farglielo vedere una vicina che sapeva tutte le cose della vita e della morte, e a lei bastò un’occhiata per cavarli dall’errore.«E’ un angelo» disse. «Veniva di sicuro per il bambino, ma poveraccio,è così vecchio che la pioggia l’ha abbattuto.»
Il giorno dopo tutti sapevano che in casa di Pelayo tenevano prigioniero un angelo in carne ed ossa. Contro il criterio della vicina saggia, per la quale gli angeli di questi tempi erano sopravvissuti fuggiaschi da una cospirazione celeste.................................... 

Gabriel García Márquez. 

19 aprile 2013

E' però ci vuole passione!!!

PASSIONE NONOSTANTE TUTTO!!!

Nell'attesa del Presidente....

…..”La prima volta che lo avevano trovato, all’inizio del suo autunno, la nazione era ancora abbastanza viva da fare in modo che lui si sentisse minacciato di morte perfino nella solitudine della sua stanza da letto, e tuttavia governava come se si sapesse predestinato a non morire mai….”
G. Garcia Marquez
Il tempo, si sa credo, inevitabilmente scorre. E continua a scorrere anche quando noi siamo finiti, sorpassati, nulla. Anche per chi indirizza tutti i suoi appetiti vitali al culto del (proprio) Potere. Potere reale, regale, ma con peculiarità di sapore ancestrale, quasi categoria metafisica, più che mero sinonimo di dominio su cose, persone, animali. Si è portati a pensare, me compreso, talvolta, che i potenti, i detentori del potere possano fare a meno di comuni sofferenze e universali immalinconimenti dell'animo. E invece no, anche qui, a volte si offrono immensi spazi a cavalcate imperiose del decadimento, della solitudine, del ricordo. Il patriarca è immerso nel suo autunno della vita, quasi oramai sprofondato nell'inverno gelido che non finisce più ed a cui noi tutti arriveremo, ed egli oggi non ha nome, non ha età, non ha luogo, ma è l'indiscusso protagonista della vicenda, personificazione della gestione patriarcale e dittatoriale di uno stato misterioso, che potrebbe rappresentare tutti gli stati del mondo. Ma egli è anche uomo e tra lacrime sue e sangue degli altri ci sono anche i cupidi appetiti sessuali e gastronomici, diffidenza, solitudine, assoluta mancanza di amore.Chi regna è solo, solo è chi regna. Il regnare come concetto è sinonimo della solitudine.
E crollano così le nostre conoscenze, speranze, illusioni e disillusioni che noi ci siamo fatti sul conto dell'uomo che impera e comanda. Perché egli ha una condanna, quella di non sprecare mai, nemmeno per sbaglio, un briciolo di umanità con nessuno. La voracità di divorare qualsiasi possibilità di mettere in crisi il suo regime diventa quasi una punizione, più che il soddisfare un proprio appetito. Ed alla fine invece di mangiare tutti si è letteralmente ingoiati e digeriti dall'esistenza che si è fortemente voluto vivere. .......... insomma questo comandante di tutto tranne che della propria pace interiore, a volte appare misero e povero, quasi da compatire.

Paolo Pappatà

Non ho bisogno di denaro...


Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti
Di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori, detti pensieri,
di rose, dette presenze,
di sogni, che abitino gli alberi,
di canzoni che faccian danzar le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti...
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Ada Merini

17 aprile 2013

Le nuvole

 

Le nuvole...Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell'airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.


15 aprile 2013

Il tedio....

Dicono che il tedio sia la malattia degli oziosi, o che contagi soltanto coloro che non hanno nulla da fare. Invece è un malessere dell’anima più subdolo: prende chi ha già una predisposizione ad esso e, più che gli oziosi veri, attacca chi lavora, o chi fa finta di lavorare (che nella fattispecie è la stessa cosa).
Non c’è niente di peggio del contrasto fra il naturale incanto della vita interiore, con le sue Indie incontaminate e i suoi paesi sconosciuti, e la sordidezza, anche quando sordida non è, della quotidianità della vita. Il tedio diventa più pesante senza la scusa dell’ozio. Il peggiore di tutti è il tedio di coloro che si sottopongono a un’intensa occupazione.
Perché il tedio non è la malattia della noia di non aver nulla da fare, ma una malattia più grave: sentire che non vale la pena di fare niente. E, quando è così, quanto più c’è da fare, tanto più tedio bisogna sentire.
Quante volte sollevo la testa vuota del mondo intero dal registro su cui sto scrivendo! Sarebbe meglio rimanermene inattivo, senza far nulla e senza aver nulla da fare, almeno potrei gustarmi quel tedio, per quanto reale. Nel mio tedio presente non c’è pace né nobiltà, né il benessere del malessere: c’è soltanto un enorme annichilimento di tutti i gesti compiuti, e non la spossatezza virtuale dei gesti che non compirò.
Il libro dell'inquietudine - F. Pessoa

14 aprile 2013

Il sogno di Jung


Stava avanzando lentamente e, con sforzo contro un vento impetuoso, tenendo nella coppa delle mani una piccola fiammella; voltandosi si accorse che una gigantesca figura nera lo seguiva, ma aveva continuato a camminare ben sapendo che doveva portare avanti quella luce.
Al risveglio si rese conto che era la sua ombra proiettata nella densità della nebbia dalla fiammella che portava; compresi che quella luce era la mia coscienza, la sola luce che possiedo.

13 aprile 2013

Prima che tu dica "Pronto"...

 
E’ in questo silenzio dei circuiti che ti sto parlando. So bene che, quando finalmente le nostre voci riusciranno ad incontrarsi sul filo, ci diremo delle frasi generiche e monche; non è per dirti qualcosa che ti sto chiamando, nè perchè creda che tu abbia da dirmi qualcosa. Ci telefoniamo perchè solo nel chiamarci a lunga distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di un’ eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s’è aperta sotto i piedi d’una coppia di esseri umani e gli abissi dell’oceano si sono spalancati a separarli mentre l’uno su una riva e l’altra sull’altra trascinati precipitosamente lontano cercavano col loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme e che si faceva sempre più flebile finchè il rombo delle onde non lo travolgeva senza speranza. Da allora la distanza è l’ordito che regge la trama d’ogni storia d’amore come d’ogni rapporto tra viventi, la distanza che gli uccelli cercano di colmare lanciando nell’aria del mattino le arcate sottili dei loro gorgheggi, così come noi lanciando nelle nervature della terra sventagliate d’impulsi elettrici traducibili in comandi per i sistemi a relais: solo modo che resta agli esseri umani di sapere che si stanno chiamando per il bisogno di chiamarsi e basta.
 
Italo Calvino, “Prima che tu dica “Pronto””

11 aprile 2013

Vogliono la guerra....


Sul muro c'era scritto col gesso:
vogliono la guerra.
Chi l'ha scritto
è già caduto.
Bertold Brecht

Spesso ascolto cose che mi fanno fare un salto e la paura mi attanaglia lo stomaco, l’istinto si risveglia e i sensi si mettono all’erta. Alcuni, ultimamente, hanno inneggiato alla guerra ed allora la mia pancia prende il sopravvento, qualcosa scatta dentro e forse solo dopo la mente riuscirà a calmare i sentimenti e a dare un nome ed un senso alle emozioni. Più leggo i prodotti di tanta stampa e vedo gli stereotipi di una società corrotta ed allo sbando e più cresce dentro di me un moto di protesta e di disgusto.
Sarà che la guerra fa schifo.
La gente uccide, per quattro soldi.
Ricordare cosa è la guerra per davvero …..e….. per chi parla senza conoscere…..
VEGLIA
Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un’intera nottata
Buttato vicino
A un compagno
Massacrato
Con la bocca
Digrignata
Volta al plenilunio
Con la congestione
Delle sue mani
Penetrata
Nel mio silenzio
Ho scritto
Lettere piene d’amore
Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.

Giuseppe Ungaretti


SAN MARTINO SUL CARSO
Valloncello dell’albero isolato il 27 agosto 1916

Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
È il mio cuore
Il paese più straziato

Giuseppe Ungaretti


GENERALE, IL TUO CARRO ARMATO

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d'una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l'uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

Bertolt Brecht


10 aprile 2013

Sono le quattro e trenta del mattino......

Sono le quattro e trenta del mattino.
La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me. Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero. La mia notte non porta consiglio. La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti. La mia notte si intristisce e si perde. La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori. La mia notte è lunga, lunga, lunga. La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta. La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte. Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno. La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo. Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina disordine, è proibito. La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco. La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa. La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza. La mia notte ti aspetta. Il mio corpo ti attende. La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua. La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere. La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio. La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo. La mia notte diventerebbe dolce. La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te. La mia notte è lunga, lunga, lunga. Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui e mi uccide. La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi. Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra. Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno. Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio. La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile. Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole. Il tuo colore.
Fra poco si leverà il sole..

Frida Kahlo – Lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera

09 aprile 2013

Il banchiere anarchico

Che cosa vuole l’anarchico? La libertà: la libertà per sé e per gli altri, per tutta l’umanità. Vuole essere libero dall’influenza o dalla pressione delle finzioni sociali; vuole essere libero come quando è nato ed è comparso nel mondo, come deve essere secondo giustizia; e vuole questa libertà per sé e per tutti gli altri. Non tutti possono essere uguali di fronte alla natura: chi nasce alto, chi basso; chi forte, chi debole; uno più intelligente, l’altro meno… Ma da questo punto in avanti tutti possono essere uguali: solo le finzioni sociali fanno sì che ciò non avvenga. E proprio queste finzioni bisognava distruggere.
Bisognava distruggerle, dunque, ma non mi è sfuggito un aspetto importante: bisognava distruggerle a vantaggio della libertà, e tenendo sempre ben in vista la creazione della società libera. Perché il fatto di distruggere le finzioni sociali può servire sia a creare libertà, o a preparare la via alla libertà, sia a stabilire altre finzioni sociali diverse, ugualmente inique perché ugualmente finzioni. Era qui che bisognava fare attenzione. Si doveva trovare un modo d’azione, qualunque fosse la sua violenza o la sua nonviolenza (perché contro le ingiustizie sociali tutto era legittimo), con cui si potesse contribuire a distruggere le finzioni sociali senza, al tempo stesso, ostacolare la creazione della libertà futura; gettando anzi, nel caso fosse possibile, le sue basi.
Ho cercato di considerare quale fosse la prima, la più importante delle finzioni sociali. Questa, prima di qualunque altra, dovevo tentare di soggiogare, di ridurre all’inazione. La più importante, perlomeno nella nostra epoca, è il denaro. Come soggiogare il denaro, o, più precisamente, la forza e la tirannia del denaro? Liberandomi dalla sua influenza, dalla sua forza, rendendomi superiore, quindi, alla sua influenza, neutralizzando la sua azione su di me. Su di me, capisce? Perché ero io a combattere: se si fosse trattato di ridurlo all’inazione rispetto a tutti, non sarebbe stato più soggiogarlo, bensì distruggerlo, perché avrebbe significato farla finita del tutto con la finzione denaro. Ora, le ho già provato che qualsiasi finzione sociale può essere “distrutta” solo dalla rivoluzione sociale, trascinata con le altre nella caduta della società borghese.
Come potevo rendermi superiore alla forza del denaro? Il modo più semplice era allontanarmi dalla sfera della sua influenza, cioè dalla civiltà; andare in un campo a mangiare radici e a bere acqua dalle fonti; girare nudo e vivere come un animale. Ma questo, e non avrei avuto nessuna difficoltà a farlo, non significava combattere una finzione sociale; non era nemmeno combattere: era fuggire. Dal punto di vista dei fatti, chi si sottrae a una lotta non è sconfitto nella lotta stessa. Ma moralmente lo è, perché non si è battuto. Il metodo doveva essere un altro —un metodo di lotta e non di fuga. Come soggiogare il denaro, combattendolo? Come sottrarmi alla sua influenza e alla sua tirannia, senza evitare lo scontro con esso? Il procedimento era uno solo: guadagnarlo, guadagnarlo in quantità sufficiente da non sentirne il bisogno; e quanto più ne avessi guadagnato, tanto più sarei stato libero da tale bisogno. È stato quando ho visto questo in modo chiaro, con tutta la forza della mia convinzione di anarchico e con tutta la mia logica di uomo lucido, che sono entrato nella fase attuale — quella commerciale e bancaria, amico mio — della mia anarchia»

Fernando Pessoa “il banchiere anarchico”

07 aprile 2013

Io guardo spesso il cielo......



Io guardo spesso il cielo

Io guardo spesso il cielo. 
Lo guardo di mattino nelle ore di luce e tutto
il cielo s'attacca agli occhi e viene a bere, e
io a lui mi attacco, come un vegetale
che si mangia la luce.


Mariangela Gualtieri

06 aprile 2013

Ho mangiato una zuppa....







Ho mangiato una zuppa thailandese a Milano anzi ”la zuppa”  ma così thailandese che nonostante la pioggia incessante ed il freddo quasi novembrino di questi giorni, è riuscita a trasportarmi fin laggiù… ….intensa…. come la loro cucina di erbe, radici, foglie e semi a noi sconosciuti eppure in grado di creare un misto di sapori, dolci, agri, salati, amari, piccanti, non mancano quasi mai peperoncini gialli, verdi, rossi e salse al curry dello stesso colore e profumi ai quali è impossibile resistere.. come la polpa e  il latte di cocco, citronella, coriandolo, aglio, zenzero, cardamomo, tamarindo cumino e lime . Un piatto caldo che scalda il cuore e dà conforto, nutre il corpo ma alimenta il piacere e questa zuppa esalta, coinvolge, risveglia tutti i sensi, non solo il gusto………mangiare bene rende felici e nessuno ci pensa mai ….ma gran parte della nostra vita, della nostra storia, è scalfita nei sensi e accade che ricordi apparentemente di nessuna importanza, ritornino all’improvviso, gustando una zuppa  thai…a Milano……………….
Penso che “le persone dovrebbero imparare prima a mangiare e poi a parlare”.


04 aprile 2013

Tu sei il mio tu più esteso......

 
 
Qualcuno riesce a raccontare il suo amore; altri riescono nell’impresa di raccontare l’Amore.....



Alcesti

Ma solo pensare a te.
Non è una figura che viene
una nitida traccia.
È come cadere in un posto
con un po' di dolore.

Tu sei il mio tu più esteso
deposto sul fondo mio. Tu. Non c'è
un'altra forma del mondo
che si appoggi al mio cuore
con quel tocco, quell'orma.
Tu. Tu sei del mondo la più cara
forma, figura, tu sei il mio essere a casa
sei casa, letto dove
questo mio corpo inquieto riposa.
E senza di te io sono lontana
non so dire da cosa ma
lontana, scomoda un poco
perduta, come malata.
Un po' sporco il mondo lontano da te,
più nemico, che punge, che
graffia, sta fuori misura.

Mio vero tu, mio altro corpo
mio corpo fra tutti mio
più vicino corpo, mio corpo destino
ch'eri fatto
per l'incastro con questo mio
essere qui in forma di femmina
umana. Mio tu. Antico suono
riverberante, antico
sentirti destino intrecciato
sentire che sei sempre stato,
promesso da ere lontane
da distanze così spaventose
così avventurose distanze da
lontananze sacre.

Tu sei sacro al mio cuore.
Il mio fuoco
brucia da sempre col tuo
il mio fiato.

Io parlo delle forze --
di correnti sul fondo del mio lago
sul fondo del tuo, oscure e potenti,
più del tempo dure più dello
spazio larghe, ma sottili
al nostro sentire,
afferrate appena
e poi perdute, nel loro gioco.

Che cosa siamo io e te? Che cosa eravamo
prima di questo nome? E ancora
saremo qualcosa, lo sappiamo e non
lo sappiamo, con un sentire
che non è intelligente lavorio cerebrale.

Nessuna parte di corpo che muore
nessun pezzo umano, nessun arto,
nessun flusso di sangue, nessun
cuore, nessuno, niente che sia
stretto nel giro del sole, niente
che sia solo terrestre umano muove
il tuo cuore al mio, il mio al tuo,
come fossero due parti di un uno.

Allora tu sei la mia lezione più grande
l'insegnamento supremo.
Esiste solo l'uno, solo l'uno esiste
l'uno solamente, senza il due.



Mariangela Gualtieri



 

02 aprile 2013

Dalla donna che sono.....


Dalla donna che sono
mi piace a volte contemplare
quelle donne che avrei potuto essere;
quelle donne sublimi,
nel diventare brave mogli,
campioni di virtù,
come avrebbe voluto mia mamma.
Non so perché
ho passato la vita
a ribellarmi contro di loro.
Odio le loro minacce sul mio corpo.
La colpa che le loro vite impeccabili,
per uno strano maleficio,
mi ispirano.
Rinnego i loro buoni uffici,
i pianti di nascosto dal marito,
il pudore della loro nudità
sotto l’inamidata biancheria ben stirata.
Queste donne, tuttavia,
mi guardano dall’interno dei loro specchi,
alzano il loro dito accusatore
e io, alle volte, cedo ai loro sguardi di rimprovero
e tento di guadagnarmi l’approvazione universale,
di essere una Gioconda ineccepibile.
Prendere dieci in condotta
al partito, lo stato, le amicizie,
la famiglia, i miei figli e tutti gli esseri
di cui straripa questo nostro mondo.
In questa contraddizione inevitabile
tra quello che avrebbe dovuto essere e quel che è,
ho combattuto battaglie mortali,
battaglie contro i loro morsi
-loro che abitano dentro di me cercando di essere me stessa-
trasgredendo materni comandamenti,
strappo, addolorata e incespicante,
quelle mie donne interne
che, dall’infanzia, mi storcono gli occhi
perché non ci sto nel perfetto stampo dei loro sogni,
perché oso essere questa pazza, fallibile, tenera e vulnerabile,
che s’innamora come anima in pena
dalle cause giuste, dagli uomini belli
e dalle parole giocose.
Perché, da adulta, ho osato vivere l’infanzia vietata,
ho spezzato dei legacci inviolabili
e mi sono permessa di godere
questo corpo sano e sinuoso
di cui i geni di tutti i miei avi
mi dotarono.
Non incolpo nessuno. Piuttosto ringrazio dei doni.
Non mi pento di nulla, come disse Edith Piaf.
Ma negli oscuri baratri in cui sprofondo,
non appena apro gli occhi, al mattino,
sento le lacrime che incalzano;
vedo quelle altre donne che attendono nel vestibolo,
che sguainano condanne contra la mia felicità.
Imperterrite “brave bambine” mi circondano
e danzano le loro canzone preferite su di me
su questa donna
fatta a mia stessa immagine,
piena.
Questa donna col petto colmo di seni,
dalle anche larghe
che, per mia madre e anche contro di lei,
mi piace essere.

Gioconda Belli