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27 febbraio 2013

Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono.....











Io G. G. sono nato e vivo a Milano.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Mi scusi Presidente
non è per colpa mia
ma questa nostra Patria
non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli
che sia una bella idea
ma temo che diventi
una brutta poesia.
Mi scusi Presidente
non sento un gran bisogno
dell'inno nazionale
di cui un po' mi vergogno.
In quanto ai calciatori
non voglio giudicare
i nostri non lo sanno
o hanno più pudore.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Mi scusi Presidente
se arrivo all'impudenza
di dire che non sento
alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi
e altri eroi gloriosi
non vedo alcun motivo
per essere orgogliosi.
Mi scusi Presidente
ma ho in mente il fanatismo
delle camicie nere
al tempo del fascismo.
Da cui un bel giorno nacque
questa democrazia
che a farle i complimenti
ci vuole fantasia.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Questo bel Paese
pieno di poesia
ha tante pretese
ma nel nostro mondo occidentale
è la periferia.

Mi scusi Presidente
ma questo nostro Stato
che voi rappresentate
mi sembra un po' sfasciato.
E' anche troppo chiaro
agli occhi della gente
che tutto è calcolato
e non funziona niente.
Sarà che gli italiani
per lunga tradizione
son troppo appassionati
di ogni discussione.
Persino in parlamento
c'è un'aria incandescente
si scannano su tutto
e poi non cambia niente.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Mi scusi Presidente
dovete convenire
che i limiti che abbiamo
ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo
noi siamo quel che siamo
e abbiamo anche un passato
che non dimentichiamo.
Mi scusi Presidente
ma forse noi italiani
per gli altri siamo solo
spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me ne vanto
gli sbatto sulla faccia
cos'è il Rinascimento.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Questo bel Paese
forse è poco saggio
ha le idee confuse
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.

Mi scusi Presidente
ormai ne ho dette tante
c'è un'altra osservazione
che credo sia importante.
Rispetto agli stranieri
noi ci crediamo meno
ma forse abbiam capito
che il mondo è un teatrino.
Mi scusi Presidente
lo so che non gioite
se il grido "Italia, Italia"
c'è solo alle partite.
Ma un po' per non morire
o forse un po' per celia
abbiam fatto l'Europa
facciamo anche l'Italia.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo
per fortuna o purtroppo
per fortuna
per fortuna lo sono.

26 febbraio 2013

Incredulità...




Dal vocabolario:  
Per incredulità si intende, come indica l'etimologia stessa del termine, il non prestar fede, avere difficoltà a credere, la diffidenza ad accettare qualcosa per vero in senso molto generico.


La maturità di giudizio si riconosce dalla difficoltà di credere. Credere è cosa molto comune.

Baltasar Gracián, L'uomo savio, 1646

La "volontà di credere" nasce da debolezze e sofferenze umane abbondantemente comprensibili, che nessuno può né deve condannare con insipida arroganza; ma l'incredulità nasce da uno sforzo per approdare a una veridicità senza inganni e a una fraternità umana priva di rattoppi trascendenti che, nell'insieme, mi sembrano anche più degni di rispetto.

Fernando Savater, La vita eterna, 2007


Mai come oggi tanta incredulità popolare.

Giovanni Soriano, Finché c'è vita non c'è speranza, 2010

25 febbraio 2013

Deriva cosmica...



 
Sentimento post elezione:

Dal vocabolario: SGOMÉNTO S. M.
Significato: stato di turbamento, depressione, ansia, provocato da avvenimenti esterni; sin. Panico, sbigottimento, spavento.


Vedi, in questi silenzi in cui le cose
                       S’abbandonano e sembrano vicine
                       A tradire il loro ultimo segreto,
                       Talora ci si aspetta
                       di scoprire uno sbaglio di Natura,
                       il punto morto del mondo, l’anello che no tiene,
                       il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
                       nel mezzo di una verità.

Eugenio Montale

23 febbraio 2013

Il potere delle idee......prima di votare


     Te ne volevo parlare da tempo, il Potere. 
Perché il potere corrompe, il potere ti fagocita, il potere ti tira dentro di sé! Capisci? 
Se ti metti accanto a un candidato alla presidenza in una campagna elettorale, se vai a cena con lui e parli con lui diventi un suo scagnozzo, no? 
Un suo operatore. Non mi è mai piaciuto.
 Il mio istinto è sempre stato di starne lontano. 

Proprio starne lontano, mentre oggi vedo tanti giovani che godono, che fioriscono all'idea di essere vicini al Potere, di dare del "tu" al Potere, di andarci a letto col Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria, informazioni magari. Io questo non lo ho mai fatto. Lo puoi chiamare anche una forma di moralità. Ho sempre avuto questo senso di orgoglio che io al potere gli stavo di faccia, lo guardavo, e lo mandavo a fanculo.
La regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è più speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta.

Tiziano Terzani

22 febbraio 2013

Raggiungetemi..............sono qui.........

L'erba ha così poche occupazioni-
un mondo di semplice verde
con solo farfalle su cui meditare
e api da ospitare-
non ha altro da fare che cullarsi
tutto il giorno ai suoni melodiosi
che le brezze portano leggere-
e accogliere in grembo la luce e inchinarsi a ogni cosa
e infilare le gocce di rugiada
come perle, per tutta la notte-
e diventare così raffinata che una duchessa invano attenderebbe
da lei un invito, un saluto, un'attenzione [...]
L'erba ha così occupazioni-
mi piacerebbe tanto essere fieno
(Emily D.)

20 febbraio 2013

C'era una volta la merenda....



E’ in queste giornate così grigie e fredde che mi viene in mente quando da piccola mia nonna mi preparava la merenda. Era un momento bellissimo. La merenda si faceva alle quattro in punto. Un ricordo indelebile fra i tanti della mia infanzia. Una merenda su tutte, la adoravo, era la “tuorlata”. Mia nonna sbatteva il rosso d’uovo con tanto zucchero, almeno due cucchiai, poi aggiungeva un goccio di marsala. Ero felice. La guardavo mentre con la tazza fra le ginocchia, sbatteva fortissimo l’uovo con l’aiuto di due forchette, ero rapita dalla velocità e dalla forza con cui mischiava gli ingredienti e soprattutto dall’amore con cui mi offriva questo “dolce mangiare”…..Amavo mia nonna e le sue merende. Ogni giorno era una sorpresa. Mi preparava, nelle giornate più fredde, una tazza di latte con un po’ di orzo che riempiva di biscotti, fette biscottate e zucchero, mi sedeva poi davanti alla finestra ed imboccandomi, mi raccontava  storie meravigliose guardando i gatti che popolavano il cortile.  Altre volte mi preparava il pane con il burro e lo zucchero e precisava: “questa era la merenda di tua mamma, anche a lei piaceva tanto”. E’ una merenda che a Milano, quelli di una certa età, ricordano. Una merenda semplice, con più o meno burro ma sempre sostanziosa e dolce, per dare la giusta energia e continuare a giocare sino alla sera. Il pane che usava era la michetta, che  buona la michetta! Andava dal prestinè (panettiere) a prenderla, la michetta doveva essere di giornata, croccante, fragrante, semplice ….Altre volte la riempiva con il salame e si divertiva con il dito a bucare la michetta per farmi vedere quanto fosse fresca e sottile la pasta di cui era fatta…Il salame lo comprava mio nonno, decideva sempre lui quale fosse il migliore, il vino lo sceglieva la nonna, a lei piaceva “busciante” frizzantino e dolce.  Si andava tutti in gita a Stradella in provincia di Pavia e a me sembrava un viaggio lunghissimo. Tutta la mia famiglia dedicava un’intera giornata all’acquisto di vino e salame. Ed io tornavo a casa con la pancia piena e la testa che mi girava per tutti gli assaggi fatti. Erano momenti di autentica gioia …….Poi è arrivata la frutta, quella esotica, si diceva fosse ricca di vitamine e facesse proprio bene ai bambini e così iniziò il periodo delle banane, le volevo mature, le altre mi davano fastidio ai denti, ma soprattutto ricordo il divieto assoluto di bere qualsiasi cosa dopo aver mangiato questo frutto nettarino, non ho mai capito perché. Mi nonna paventava che se avessi solo osato bere un goccio d’acqua sarei stata malissimo e mi sarebbe venuto un gran mal di pancia….e così piena di paura mi tenevo la sete sino a sera…ma certamente non rinunciavo a questo strano frutto…..costosissimo a quei tempi…e poi…poi.....sono cresciuta e la merenda non l’ho fatta più. Bastava così poco per essere felici…forse dovremmo tutti tornare a far merenda…..

18 febbraio 2013

Esprimetevi!



È tempo di mettersi in ascolto.
È tempo di fare silenzio dentro di se.
È tempo di essere mobili e leggeri, di alleggerirsi per mettersi in cammino.
È tempo di convivere con le macerie E l'orrore, per trovare un senso.
Tra non molto, anche i mediocri lo diranno.
Ma io non parlo di strade più impervie, di impegni più rischiosi, di atti meditati in solitudine.
L'unica morale possibile è quella che puoi trovare,
giorno per giorno,
nel tuo luogo aperto-appartato.
Che senso ha se solo tu ti salvi.
Bisogna poter contemplare,
ma essere anche in viaggio.
Bisogna essere attenti, mobili,
spregiudicati e ispirati.
Un nomadismo, una condizione,
un'avventura,un processo di liberazione,
una fatica, un dolore,
per comunicare tra le macerie.
Bisogna usare tutti i mezzi disponibili,
per trovare la morale profonda della propria arte.
Luoghi visibili e luoghi invisibili,
luoghi realie luoghi immaginari popoleranno il nostro cammino.
Ma la merce è la merce,
e la sua legge sarà sempre pronta a cancellare il lavoro di chi ha trovato radici e guarda lontano.
Il passato e il futuro non esistono nell'eterno presente del consumo.
Questo è uno degli orrori,
con il quale da tempo conviviamo
e al quale non abbiamo ancora dato una risposta adeguata.
Bisogna liberarsi dell'oppressione
E riconciliarsi con il mistero.
Due sono le strade da percorrere,
due sono le forze da far coesistere.
La politica da sola è cieca.
Il mistero, che è muto, da solo diventa sordo.
Un'arte clandestina per mantenersi aperti,
essere in viaggio,
ma lasciare tracce,
edificare luoghi,
unirsi a viaggiatori inquieti.
E se a qualcuno verrà in mente,
un giorno,
di fare la mappa di questo itinerario;
di ripercorrere i luoghi,
di esaminare le tracce,
mi auguro che sarà solo per trovare un nuovo inizio.
È tempo che l'arte trovi altre forme per comunicare in un universo
In cui tutto è comunicazione.
È tempo che esca dal tempo astratto del mercato,
per ricostruire il tempo umano dell'espressione necessaria.
Una stalla può diventare un tempio e restare magnificamente una stalla.
Né un Dio,
né un'idea,
potranno salvarci ma solo una relazione vitale.
Ci vuole una altro sguardo per dare senso a ciò che barbaramente muore ogni giorno omologandosi.
E come dice un maestro:
"tutto ricordare e tutto dimenticare".

Antonio Neiwiller, Maggio 1993

15 febbraio 2013

Volli, volli fortissimamente volli

Bisogna ricordare questa frase, si studia a scuola e poi si dimentica. E’ necessario invece ripeterla più e più volte, ha un gusto dolce nella bocca, rotondo ma forte al contempo, un suono che si allarga come quando si butta un sasso nell’acqua, dice molte cose e va in ogni dove. La sua forza non può essere fermata. Quando si impossessa del tuo cuore, della tua mente, della tua anima, diventa respiro di vita, l’alchimia per continuare a vivere. La voglia di fare, il carattere, la personalità, l’essenza stessa dell’esistere. La volontà che accompagna ogni gesto. Non esisterebbe vita senza l'energia della volontà, questa scorre nelle "vene" di tutto ciò che ci circonda. Ma come dice Alfieri, prima “devi capire se sei cavallo da tiro o da galoppo; se ti chiedi se hai l'ambizione di toccar la luna o attraversare a piedi li oceani, perché se è questa la volontà che credi, bè ! Sarà meglio che la volontà si pieghi, a riflettere su cose più sane e a guardar meglio le cose, perché la volontà prima di tutto e di ogni cosa è soprattutto un fatto di buon senso. “
“Volli, volli fortissimamente volli”

14 febbraio 2013

14 febbraio 2013 giornata contro la violenza sulle donne

La sposa bambina
Catinina del Freddo era di quella razza che da noi si marchia col nome di mezzi zingari perché mezza la loro vita la passano sotto l’ala del mercato.
Proprio sotto l’ala si trovava, a tredici anni giusti, a giocare coi maschi a tocco e spanna, quando sua madre le fece una chiamata straordinaria.
– Lasciami solo più giocare queste due bilie! – le gridò Catinina, ma sua madre fece la mossa di avventarsi e Catinina andò, con ben più di due bilie nella tasca del grembiale.
A casa c’era suo padre e sua sorella maggiore, tra i quali vennero a mettersi lei e sua madre, e così tutt’insieme fronteggiavano un vecchio che Catinina conosceva solo di vista, con baffi che gli coprivano la bocca e nei panni un cattivo odore un po’ come quello dell’acciugaio. I suoi di Catinina stavano come sospesi davanti al vecchio, e Catinina cominciò a dubitare che fosse venuto per farsi rendere ad ogni costo del denaro imprestato e i suoi l’avessero chiamata perché il vecchio la vedesse e li compatisse.
Invece il vecchio era venuto per chiedere la mano di Catinina per il suo nipote che aveva diciotto anni e già un commercio suo proprio.
Sua madre si piegò e disse a Catinina: – Neh che sei contenta di sposare il nipote di questo signore?
Catinina scrollò le spalle e torse la testa. Sua madre la rimise in posizione: – Neh che sei contenta, Catinina? Ti faremo una bella veste nuova, se lo sposi.
Allora Catinina disse subito che lo sposava e vide il vecchio calar pesantemente le palpebre sugli occhi.
– Però la veste me la fate rossa, – aggiunse Catinina.
– Ma rossa non può andare in chiesa e per sposalizio. Perché ti faremo una gran festa in chiesa. Avrai una veste bianca, oppure celeste.
A Catinina la gran festa in chiesa diceva poco o niente, quella veste non rossa già le cambiava l’idea, per lo scoramento si lasciò piombare una mano in tasca e fece suonare le bilie.
Allora la sorella maggiore disse che le avrebbero portato tanti confetti; a sentir questo Catinina passò sopra alla veste non rossa e disse di sì tutto. Anche se quei confetti non finivano in bocca a lei.
Si sposarono alla vicaria di Murazzano, neanche un mese dopo. Lo sposo dava alla vista meno anni dei suoi diciotto dichiarati, aveva una corona di pustole sulla fronte, più schiena che petto, e certi occhi grigi duretti.
Fecero al Leon d’Oro il pranzo di nozze, pagato dal vecchio e dopo vespro partirono. C’era tutto il paese a salutar Catinina, e perfino i signori ai loro davanzali.
Lo sposo, che era padrone di mula e carretto, aveva giusto da andare fino a Savona a caricar stracci, che era il suo commercio, e ne approfittava per fare il viaggio di nozze con Catinina.
Alla sposa venne da piangere quando, salita sul carretto, dominò di lassù tutta quella gente che rideva, ma le levò quel groppo un cartoccio di mentini che le offrì una donna anche lei della razza dei mezzi zingari.
Alla fine partirono, ma ancora a San Bernardo avevano il tormento di quei bastardini che fino a ieri giocavano alle bilie con la sposa. Quantunque lo sposo non tardasse a girare la frusta.
Viaggiavano sulla pedaggera e ne avevano già ben macinata di ghiaia, e Catinina non aveva ancora aperto la bocca se non per infilarci quei mentini uno dopo succhiato l’altro, e lo sposo le sue quattro parole le aveva dette alla mula.
Ma passato Montezemolo lo sposo si voltò e le disse: – Voi adesso la smettete di mangiare quei gommini verdi –, e Catinina smise, ma principalmente per lo stupore che lo sposo le aveva dato del voi.
Veniva su la luna, e dopo un po’ fu un mostro di vicinanza, di rotondità e giallore, navigava nel cielo caldo a filo del greppo della langa, come li volesse accompagnare fino in Liguria.
Catinina toccò il suo sposo e gli disse: – Guarda solo un momento che luna.
Ma quello le si rivoltò e quasi le urlò: – Voi avete a darmi del voi, come io lo do a voi!
Catinina non rifiatò, molto più avanti disse semplicemente che il listello di legno l’aveva tutta indolorita dietro, dopo ore che ci stava seduta. E allora lui parlò con una voce buona, le disse che al ritorno sarebbe stata più comoda, lui l’avrebbe aggiustata sugli stracci.
Arrivarono a Savona verso mezzogiorno.
Lo sposo disse: – Quello lì davanti è il mare, – che Catinina già ci aveva affogati gli occhi.
– Che bestione, – diceva Catinina del mare, – che bestione!
Tutte le volte che pascolava le pecore degli altri in qualche prato sotto la strada del mare e sentiva d’un tratto sonagliere, si arrampicava sempre sull’orlo della strada e da lì guardava venire, passare e lontanarsi i carrettieri e le loro bestie in cammino verso il mare con grandi carichi di vino e di farine. Qualche volta li vedeva anche al ritorno, coi carri adesso pieni di vetri di Carcare e di Altare e di stoviglie d’Albisola, e si appostava per fissare i carrettieri negli occhi, se ritenevano l’immagine del mare.
Ora se lo stava godendo da due passi il mare, ma lo sposo le calò una mano sulla spalla e si fece accompagnare a stallare la bestia. Ma poi le fece vedere un po’ di porto e poi prendere un caffellatte con le paste di meliga. Dopodiché andarono a trovare un parente di lui.
Questo parente stava dalla parte di Savona verso il monte e a Catinina rincresceva il sangue del cuore distanziarsi dal mare fino a non avercene nemmeno più una goccia sotto gli occhi.
Ce ne volle, ma alla fine trovarono quel parente. Era un uomo vecchiotto ma ancora galante, e quando si vide alla porta i due ragazzi sposati fece subito venire vino bianco e paste alla crema ed anche dei vicini, ridicoli come lui.
Mangiarono, bevettero e cantarono. Catinina in quel buonumore prese a snodarsi e a rider di gola e ad ammiccare come una donna fatta, e teneva bene testa al parente galante ed ai suoi soci; lo sposo le era uscito di mente ed anche dagli occhi, non lo vedeva, seduto immobile, che pativa a bocca stretta e col bicchiere sempre pieno posato in terra fra i due piedi.
Quando si ritirarono per la notte in una stanza trovata dal parente, allora riempì di schiaffi la faccia a Catinina. E nient’altro, tanto Catinina non era ancora sviluppata.
Al mattino Catinina aveva per tutto il viso delle macchie gialle con un’ombra di nero, lo sposo venne a sfiorargliele con le dita e poi scoppiò a piangere. Proprio niente disse o fece Catinina per sollevarlo, gli disse solo che voleva tornare a Murazzano. E sì che si sarebbe fermata un altro giorno tanto volentieri per via di quel parente così ridicolo, ma ora sapeva cosa le costava il buonumore, e poi il mare le diceva molto meno.
Lo sposo caricò in fretta i suoi stracci, la fece sedere sul molle e tornarono.
La mattina dopo, il panettiere di Murazzano, che si levava sempre il primo di tutto il paese, uscito in strada a veder com’era il cielo di quel nuovo giorno, trovò Catinina seduta sul selciato e con le spalle contro il muro tiepido del suo forno.
– Ma sei Catinina? Sei proprio Catinina. E cosa fai lì, a quest’ora della mattina?
Lei gli scrollò le spalle.
– Cosa fai lì, Catinina? E non scrollarmi le spalle. Perché non sei col tuo uomo?
– Me no di sicuro!
– Perché te no?
Allora Catinina alzò la voce. – Io non ci voglio più stare con quello là che mi dà del voi!
– Ma come non ci vuoi più stare? Invece devi stargli insieme, e per sempre. È la legge.
– Che legge?
– O Madonna bella e buona, la legge del matrimonio!
Catinina scrollò un’altra volta le spalle, ma capiva anche lei che scrollar le spalle non bastava più, e allora disse: – Io non ci voglio più stare con quello là che mi dà sempre del voi. E poi che casa mi ha preparata che io c’entrassi da sposa? Una casa senza lume a petrolio e senza il poggiolo!
L’uomo sospirò, la fece entrare nel suo forno, disse piano al suo garzone: – Attento che non scappi, ma non beneficiartene altrimenti il mestiere vai a impararlo da un’altra parte, – e uscì.
Quando tornò, c’era con lui l’uomo di Catilina. Col panettiere testimone, le promise il lume a petrolio per subito e di farle il poggiolo, tempo sei mesi.
Catinina il lume a petrolio l’ebbe subito, e poi anche il poggiolo, ma dopo un anno buono, che lei aveva già un bambino sulle braccia. Perché Catinina non era la donna che per aver la grazie dei figli deve andarsi a sedere sulla santa pietra alla Madonna del Deserto e pregare tanto.
Questo primo figlio, dei nove che ne comprò nella sua stagione, l’addormentava alla meglio in una cesta e poi subito correva sotto l’ala a giocare a tocco e spanna con quei maschi di prima. Dopo un po’ il bambino si svegliava e strillava da farsi saltare tutte le vene, finché una vicina si faceva sull’uscio e urlava a Catinina:
– O disgraziata, non senti la tua creatura che piange? Vieni a cunarlo, o mezza zingara!
– Lasciatemi solo più giocare questa bilia!

12 febbraio 2013

Alle bianche spose...

   

 

Questa notte gli alberi si sono vestiti come bianche spose......

frementi mi accolgono all'alba......ed è un vero incanto.

Guardo tutto questo candore e rivedo la mia vita, 

il mio vestito bianco, chiuso in un armadio, dimenticato..

solo il ricordo sbiadito di chi mi stava accanto....

Il mio respiro caldo riscalda il gelo, crea la magia...

non più sposa ma padrona, madre, regina della festa e del mondo.



11 febbraio 2013

PAPI..troviamo le differenze....

Sanctamque eius Matrem   Mariam imploramus

«Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro».

«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale».

11 febbraio 2013 e nevica.....



 
Cade la neve

Sui campi e su le strade,
silenziosa e lieve,
volteggiando, la neve
cade.

Danza la falda bianca
ne l'ampio ciel scherzosa,
poi sul terren si posa,
stanca.
In mille immote forme,
sui tetti e sui camini,
sui cippi e sui giardini,
dorme.
Tutto d'intorno è pace;
chiuso in oblìo profondo,
indifferente il mondo
tace.


Ada Negri

10 febbraio 2013

Ho nel cuore un leggero bruciore....

 
Non ci sono scuole che insegnano ad essere felici è la vita che ce lo insegna, ci mette alla prova continuamente, in ogni aspetto per assicurarsi che per davvero vogliamo essere felici....
Non ci si può chiudere e vivere di aspettative, bisogna lavorare sempre e con impegno,  solo così sarà possibile comprendere davvero le capacità di cui siamo forniti e renderci conto della forza di cui siamo dotati. Allora si inzierà a camminare con scioltezza anche con addosso una tonnellata, a darsi un valore a sentirti finalmente importante non per gli altri ma per te stesso...
E...non è peccato questo! Non è vanagloria! Per anni spesso ci hanno fatto credere di non essere meritevoli, in qualche modo sbagliati, non graditi, rendendoci dipendenti dal giudizio degli altri e cosa abbiamo ottenuto? Nulla, malessere e frustrazione... Devi essere importante di fronte a te stesso e non sperare di esserlo solo per chi ci sta attorno....La vita è piena di sfide e certo non si vincono tutte ma vanno affrontate, ci mettiamo alla prova e forse anche se soffriamo ci arricchiamo, diventiamo più maturi, più consapevoli di chi siamo e cosa vogliamo. Quante volte abbiamo evitato di combattere, ci siamo messi in un angolo, svuotati e pieni di paura....cercando di ignorare tutto e tutti......ma la vita ci chiama...e seppur pieni di ferite dobbiamo andare avanti con coraggio, immaginazione, volontà ed amore..sempre..e soprattutto vivere l'esperienza quando arriva, viverla tutta e fino in fondo..fino a che ce ne sarà bisogno.....
Ed ho nel cuore una sorta di leggero bruciore...

09 febbraio 2013

Viaggio di ritorno....

 
 

 I dolori, le ferite ricevute da piccoli non scompaiono certo per magia, rimangono nel nostro animo e solo quando siamo in grado di affrontarli, riemergono in superficie, offrendoci l'opportunità di sanare ciò che ancora ci fa soffrire...ciò accadrà solo quando siamo diventati forti abbastanza per poterlo affrontare. Non è un viaggio facile, ma solo percorrendo questo cammino sarà possibile  raggiungere l'essenza ed il senso della nostra vita in quell'universo che è la nostra anima....
Guarire è un lento lavoro, fatto di miglioramenti e di nuove cadute ma non si torna indietro, al limite ci si ferma per un pò. Ci hanno convinto che i nostri corpi e le nostre menti possono recuperare "la salute" in tempi brevissimi, ma non è così.  La guarigione non è qualcosa che arriva all'improvviso. Come quando ti ammali e pensi di risvegliarti al mattino nuovamente in forma. Senza febbre, con la mente fresca e lucida pronta a riprendere tutto esattamente come prima.  Il corpo, come la mente,  ha bisogno di tempo, di cure, di amore, per poter guarire. Bisogna fermarsi e recuperare l'energia perduta. Ascoltare le nostre piccole braccia, le nostre insicure gambe, incapaci di reggerci in piedi, alzare lo sguardo verso il cielo nonostante tutte le nostre fragilità,  di nuovo piccoli ed indifesi, percepire fino in fondo la paura di non tornare più come prima...fino a che..il buio lascerà il posto alla luce, abbagliante, potente ..la luce della guarigione....

06 febbraio 2013

La vera natura dell'uomo è....




Il maestro disse: C'era una volta un villaggio di creature che vivevano nel fondo di un gran fiume di cristallo.
La corrente del fiume scorreva silenziosamente su tutte le creature, giovani e vecchie, ricche e povere, buone e malvagie, in quanto la corrente seguiva il suo corso, conscia soltanto della propria essenza di cristallo.
Ogni creatura si avvinghiava strettamente, come poteva, alle radici e ai sassi del letto del fiume, poichè avvinghiarsi era il loro modo di vivere, e opporre resistenza alla corrente era ciò che ognuna di esse aveva imparato sin dalla nascita.
Ma finalmente una delle creature disse: "sono stanca di avvinghiarmi. Poichè, anche se non posso vederlo con i miei occhi, sono certa che la corrente sappia dove sta andando, lascerò la presa e consentirò che mi conduca dove vorrà. Continuando ad avvinghiarmi morirò di noia.
Le altre creature risero e dissero:"sciocca! lasciati andare e la corrente che tu adori ti scaraventerà rotolando e ti fracasserà contro le rocce, e tu morirai più rapidamente che per la noia"
Quella però non dette loro ascolto e, tratto un respiro si lasciò andare e subito venne fatta rotolare dalla corrente e sbattuta contro le rocce.
Ciò nonostante, dopo qualche tempo, poichè la creatura si rifiutava di tornare ad avvinghiarsi, la corrente la sollevò dal fondo, liberandola  ed essa non fu nè contusa nè indolenzita.
Le creature più a valle, per le quali era una estranea, gridarono! Miracolo! E' una creatura come noi eppure lei riesce a volare!! E' venuta a salvarci tutte!!!
"Io non sono venuta a salvarvi" rispose la creatura. Il fiume si compiace di sollevarci e liberarci, se soltanto osiamo lasciarci andare.....la nostra missione vera è questo viaggio e vivere quest'avventura...
E la creatura, finalmente libera, volò via.......accadde proprio così....

                                                                                                             R.Bach

05 febbraio 2013

Io ballo.............




A Chagall...

Sono felice di vivere e ballo. La gente mi guarda e non capisce. Pensa che sono matto, ma non è così.
Io ballo.
Vedete che bel cappello? E il cappotto?
Io sono un uomo serio, ho anche un bel lavoro. Però ballo.
Non è sempre stato così: un tempo prendevo la vita come un peso, non mi accorgevo della luce e del buio, dello scorrere delle stagioni, delle persone intorno a me; ogni giorno era un ripetitiva abitudine.
Poi ho trovato il mio violino.
Al primo suono mi sono spaventato: gracchiava, strideva, ma io ho continuato a suonare. Come per magia, quel rumore fastidioso è diventato melodia che ha dissipato la nebbia che velava i miei occhi.
Ed ora, quando suono, ballo ed il mondo attorno a me cambia.
Mentre suono, volo sui tetti e da quassù nulla più mi sfugge, osservo il mondo con la stessa allegria di un bimbo che gioca nella neve ed il suo candore mi impregna.
La sapete una cosa?
Io voglio che anche voi balliate, voglio che il mondo balli. Insieme, con allegria, voglio un mondo più felice. Vorrei che, se qualcuno volesse sognare, gli fosse possibile.
Che tutti questi sogni diventino realtà.
                                                                                                       L.D.


04 febbraio 2013

Mai senza cioccolato....



Oggi è stata una difficile giornata, nonostante il cielo fosse blu cobalto, l’aria frizzantina ed il sole quasi caldo, ho avuto uno sgradevole e fastidioso incontro.
Già il lunedì è faticoso di suo..se poi ti capita di incontrare un “dissennatore” o addirittura più di uno, la settimana prende una piega di difficile gestione.
Quando si avvicinano ad una persona i “dissennatori”, tutti ormai lo sanno, …. ne strappano ogni pensiero lieto, poiché essi si cibano appunto della felicitá altrui svuotando le persone intorno a loro di ogni pensiero gioioso fino a farle impazzire dalla disperazione. Riescono ad eliminare ogni capacità di fuga o reazione. Così l’incauto sta lì a farsi martirizzare senza alcuna possibilità di uscirne vivo a meno che…. Non mangi del cioccolato (così prescrivono i maghi più esperti)  in grado di infondere energia e buon umore e forse di fronte al luccichio della vita ritrovata…..cacciare l’infausta presenza.
Con questa scusa, che scusa non è, mi hanno davvero dissennato, ho deciso di cucinare il mitico “mole poblano” . Mi rendo conto, è una ricetta complessa ma vi assicuro miracolosa, riesce a sollevare le sorti degli animi più abbattuti e sconfortati.
Mole Poblano – piatto messicano – dosi per 6 persone.
  • 2 cosce di tacchino, ciascuna tagliata in 8 pezzi
  • 4 peperoni “pasilla” secchi
  • 4 peperoni “ancho” secchi
  • 6/8 cucchiai di olio d’oliva dal gusto neutro, oppure olio di semi di buona qualità
  • 1 cipolla tagliata a dadini
  • 2 spicchi di aglio pelati e tritati
  • 1/2 cucchiaino di cannella in polvere
  • 1/4 cucchiaino di coriandolo in polvere
  • 1/8 cucchiaino di chiodi di garofano in polvere
  • 1 cucchiaino di pepe nero in polvere
  • 2 cucchiai di arachidi (oppure di mandorle) sgusciate e private della pellicina
  • 2 cucchiai di uvetta secca
  • 4 pomodori rotondi maturi, pelati privati dei semi e tagliati a dadini
  • 2 tortillas
  • 90 g. di semi di sesamo
  • 125 ml. di brodo di pollo
  • 40 g. di cioccolato fondente tagliuzzato a pezzetti
  • sale e pepe q.b.
I peperoni secchi o i peperoni messicani li potete trovare nei negozi di specialità etniche oppure negli alimentari dei quartieri abitati da sudamericani, se proprio non riuscite a trovarli provate a sostituirli con un misto di peperoni freschi, pomodori secchi e peperoncino rosso piccante.
Preparazione
Pulite i peperoni secchi eliminando i semi, tostateli in una padella antiaderente senza condimenti, poi metteteli in una ciotola e copriteli con acqua bollente, e lasciateli ammollare. Successivamente, frullate il tutto . Riscaldate l’olio in una capace casseruola di terracotta o di ghisa, e fateci rosolare il tacchino dopo averlo salato e pepato. Togliete il tacchino dalla casseruola e mettetelo da parte.
Mettete la cipolla nella stessa casseruola e fatela dorare, aggiungete l’aglio e cuocete ancora 1 minuto. Spolverate il tutto con le spezie in polvere e cuocete 2 minuti, poi gli arachidi e l’uvetta, cuocete un altro minuto, infine aggiungete i pomodori e le tortillas fatta a pezzetti, e cuocete per altri 5 minuti.
Tostate i semi di sesamo in una padella antiaderente senza aggiungere alcun condimento. Mettete metà del sesamo nel vaso del robot da cucina usato in precedenza, e mettete da parte i rimanenti; versate anche il soffritto di cipolle e pomodori nel vaso del robot e il brodo di pollo, frullate fino a ridurre il tutto ad un composto omogeneo.
Versate il frullato di peperoni nella casseruola dove avete cotto il soffritto senza pulirla, fate cuocere il tutto per 10 minuti a fuoco basso, mescolando di frequente. Versateci il composto a base di cipolle, pomodori e spezie preparato in precedenza, il cioccolato, i pezzi di tacchino e un po’ di sale.
Cuocete per circa 45 minuti o comunque fino a quando il tacchino sarà tenero e la salsa densa come il ketchup; se asciugasse troppo potete aggiungere un po’ di brodo durante la cottura.
Servite il mole poblano con il riso in bianco o della quinoa e spolverate il tutto con i rimanenti semi di sesamo.
E’ una ricetta in grado di risvegliare i morti…appunto…..

03 febbraio 2013

Il gelo sotto la luce....




C'è qualcosa di strano nello svegliarsi a Milano e non trovare il solito cupo cielo invernale, grigio sconfinato, coltre di nuvole dalla quale nulla può filtrare. Oggi è successo...la stanza sembrava più grande illuminata dai raggi del sole, rari in questo periodo dell'anno, con una differenza netta tra le zone d'ombra e quelle di luce.
Mi sono alzata tardi, dalla finestra si vede il parco che raccoglie le voci squillanti dei bambini. L'inverno sembra finito, ma so che è solo un'illusione, un istante di pura felicità, nessun dolore, nessun ostacolo, nessuna preoccupazione. Semplicemente appagata nello stare lì. Un momento di eternità. 
So che in una parte della mia anima risiede una mancanza, una lieve tristezza, come se nella mia vita avessi perso qualcosa di davvero importante....una sorta di nostalgia di ciò che non è stato...mi appartiene da quando sono nata....fa parte di me e della mia storia e tuttavia non mi da fastidio, è lì da sempre....
Chissà come sarei e chi sarei senza di lei, non mi sono mai soffermata molto a rifletterci, c'è e basta. Sento una sensazione di calore dentro al petto, come se dovesse accadermi qualcosa di bello da un momento all'altro.
Non mi va più di rimanere nel letto immobile, cercando di fermare questo istante, ho molta fame e questa luce così abbagliante mi spinge avanti verso il cielo azzurro e trasparente come non mai, il vento pennella le poche nuvole bianche ed io sono qui con tutto il mio corpo e con tutta la mia vita..qui.